di Antonella di Gregorio, da corriere.it
L’alfabetizzazione del nuovo millennio si fa in numeri binari: 1-0-0-1. Il linguaggio dei calcolatori, cioè, verrà prima di (o insieme a) ortografia e tabelline. E i ragazzini non saranno più solo fruitori passivi di tecnologia, ma impareranno a «ragionare» come i computer. Anzi, a far ragionare i computer.
Parte dunque anche in Italia la sperimentazione appena decollata in Gran Bretagna e Stati Uniti, che vede l’inserimento del coding - e cioè la capacità di impartire istruzioni a un calcolatore -fin dal curriculum delle primarie. A dare il la a un movimento diventato davvero globale, è stata la campagna «Hour of Code», lanciata da Code.org (fondazione no profit statunitense dedicata allo sviluppo della formazione nella programmazione dei linguaggi informatici) per la diffusione delle scienze informatiche.
«Programma per il futuro» è la sponda italiana dell’iniziativa, utilizzata da milioni di alunni negli Stati Uniti e apprezzata da Barack Obama; entrata alle elementari, in Estonia, già da due anni; partita in Inghilterra a inizio anno scolastico, con corsi obbligatori di coding per tutti, dopo un anno di dibattiti e un paio di sondaggi per sondare il livello di consapevolezza dei genitori in merito ai nuovi programmi.
In Italia gli obiettivi sono per ora su scala ridotta: almeno una lezione per ogni studente. Poco più di un assaggio. Si potrà fare cioè un’ora di avviamento al pensiero computazionale: l’«ora di Codice». E poi, eventualmente, un percorso più approfondito, di dieci ore, da svolgere nel corso dell’anno scolastico. In tutti e due i casi le lezioni si possono fruire sia on che off line, per non penalizzare le scuole meno fornite di computer e connessione a Internet.
Alle scuole, spiega una circolare del Miur, saranno forniti una serie di strumenti «semplici, divertenti e facilmente accessibili per formare gli studenti ai concetti di base dell’informatica e del pensiero computazionale».
L’Italia - si legge - sarà uno dei primi Paesi al mondo a sperimentare l’introduzione strutturale nei propri istituti scolastici di questi contenuti «facendo della scuola una leva di innovazione e sviluppo». I corsi sono promossi dal Miur in collaborazione con il Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (CINI), prevedono lezioni e informazioni messe a disposizione sul sito www.programmailfuturo.it e la presenza di un docente o di un volontario che agisce in coordinamento con il Consorzio: alla fine del corso, verrà rilasciato agli alunni un attestato di frequenza da parte del ministero.
Un primo passo, che forse non servirà a crescere una generazione di Steve Jobs, ma che dimostra la voglia di tenersi al passo con quelle che sono le iniziative che vengono prese, a livello europeo, nel campo dell’Istruzione, nel tentativo di risollevare lo stato precario della scuola italiana.
Il governo si auspica che almeno il trenta per cento delle scuole italiane possano essere in grado di aderire al progetto già a partire dall’anno scolastico 2014/2015 e per incentivare la partecipazione garantisce che «i materiali potranno essere utilizzati da docenti di qualunque materia; non saranno necessarie particolari nozioni o abilità tecniche, proprio per rendere questa esperienza accessibile a tutte le classi».
Il lancio ufficiale sarà a dicembre, nella settimana che va dall’8 al 14, quando si celebrerà a livello mondiale l’Ora del Codice. Miur e Cini invitano per questo le scuole ad avviare in quel periodo le loro attività per poi procedere con il livello avanzato nelle settimane successive. Gli istituti che hanno già aderito negli anni scorsi alle iniziative del Piano della Scuola Digitale del Miur (Scuole 2.0 e Classi 2.0) saranno invitati a partecipare da subito ad una sperimentazione di messa a punto del progetto.
Una sperimentazione aperta anche ad altri istituti interessati, che dovranno però candidarsi con un’iscrizione su Programmailfuturo.it (entro il 10 ottobre), in modo da partecipare insieme alle altre scuole alla Settimana Europea del Codice (all’11 al 17 ottobre 2014), un’iniziativa del Vice Presidente della Commissione Europea Neelie Kroes per favorire l’avvicinamento di giovani e giovanissimi al pensiero computazionale attraverso la programmazione.
giovedì 25 settembre 2014
martedì 23 settembre 2014
"Leggere i media". Intervista a Raffaele Chiarulli e Eleonora Fornasari
Quali sono i nuovi media? Perchè sono importanti? In che modo influenzano i giovani al giorno d'oggi? L'abbiamo chiesto a Raffaele Chiarulli e a Eleonora Fornasari in questa intervista esclusiva per FaesBook.
Che cosa vuol dire “leggere i media”?
Per ragazzi giovani e
alla ricerca di certezze e modelli, la televisione spesso sostituisce le figure
adulte di educatori come punto di riferimento, soprattutto rispetto a temi che
con i genitori si affrontano poco. Per esempio, sul tema del rapporto tra
ragazzi e ragazze, Beverly Hills ha
delineato uno schema valido per tutti i successivi teen drama (per teen drama intendiamo le serie
televisive dirette espressamente al pubblico degli adolescenti e che hanno gli
adolescenti come protagonisti):
l’unica preoccupazione in Beverly Hills era passare l’idea che il sesso
andasse fatto “protetto”, senza
che ci fosse mai spazio per voci e posizioni diverse. Ecco allora che “educare” non basta.
Dipende in che modo si educa e a quali visioni del mondo. “Leggere” i media,
pertanto, significa non essere passivi rispetto ai contenuti ma essere
spettatori critici perché consapevoli.
Quando si dice ‘media’ oggi che cosa s’intende? Quali sono i media del 2014?
Dire ‘media’ oggi
significa anche e soprattutto dire “internet” e “social network”. Adolescenti e
giovani passano ormai molto più tempo on line che non con i media tradizionali
ma qui bisogna fare un distinguo. Molte persone sono “connesse” ma di fatto su internet
ascoltano la radio, guardano la tv, leggono i giornali, scaricano film e serie
televisive. Anche su Facebook, o su altri network analoghi, spesso ci si
scambia canzoni, tavole di fumetti, sequenze di film o di telefilm prelevate da
youtube, articoli tratti dai siti dei quotidiani, ecc. I supporti, quindi,
diventano via via più sofisticati ma i contenuti spessissimo sono gli stessi di
sempre. I sociologi della comunicazione cavillano sul confine che separa l’essere
utenti dall’essere spettatori ma in gioco, da sempre, c’è la responsabilità di
ciò che si comunica e di come lo si comunica. È qui, partendo dalle radici
degli atti comunicativi, che è stato pensato il nostro modulo per le scuole.
Perché è importante oggi saperli leggere?
La
comunicazione è ormai talmente invasiva che un’alfabetizzazione a riguardo è
necessaria. È utile avere delle armi di disinnesco, in presenza di
comunicazioni volte a tendere dei tranelli (per esempio film che veicolano
visioni del mondo negative o ideologiche), o – senza per forza evocare scenari così
foschi – è utile semplicemente conoscere le regole di una comunicazione sana
per avere relazioni sane con gli altri individui. La natura relazionale di internet,
in cui ognuno è autore e lettore di messaggi che circolano continuamente, è
sotto questo aspetto un forte richiamo.
In che modo i media influenzano la nostra vita?
Oggi i giovani sono
esposti continuamente a una massiccia quantità di figure, spesso provenienti
proprio dal mondo televisivo, capaci di influire e modificare i loro schemi di
comportamento, le loro convinzioni e opinioni. Per esempio, per i padroni dei media, l’obiettivo principale
spesso è vendere e gli utenti vengono trattati, in quest’ottica, come
consumatori. In questa visione, bambini e ragazzi sono la categoria sociale
maggiormente presa di mira, perché più sensibili e plasmati dalle mode
consumistiche. Con la nascita di serie indirizzate esclusivamente a loro, i
giovani diventano un nuovo target da colpire e per cui creare specifici
prodotti di consumo. Non è un caso che i teen drama siano terreni di coltura di tendenze e mode:
abbigliamento, trucco, rituali, tutto diventa “icona”, cioè modello per milioni
di giovani telespettatori, nonché consumatori. Imparare a riconoscere questo
tipo di influenza dei media, può aiutare certo a essere più consapevoli e
quindi liberi.
Che consigli potete dare per imparare a leggere… tra le righe?
R. Chiarulli: Io suggerisco sempre di non
accontentarsi mai della prima lettura, di quella più superficiale. Dietro la
sceneggiatura di un film (parlando invece di cinema e soprattutto di quello
americano, che i ragazzi guardano più di altri), c’è un lavoro di limatura e
perfezionamento che dura anni e che coinvolge tante persone. Il risultato di
questa sedimentazione di esperienze e idee è talmente perfetto che spesso anche
gli spettatori più esperti faticano a cogliere il cuore di un film a una prima
visione. I film belli andrebbero visti più volte, esplorati. L’immediatezza del
linguaggio audiovisivo fa dimenticare che ogni ritorno sul luogo del delitto
porta alla luce nuove tracce.
Faccio un esempio:
quest’anno ho fatto vedere Gravity in
due scuole. Quasi tutti i ragazzi hanno letto il film come un thriller spaziale
pieno di effetti speciali ma vuoto di anima. Ripercorrendo la trama, invece, ho
mostrato loro come il film celebrasse la rinascita del senso religioso
nell’uomo moderno che ha perso il centro di gravità. Erano sorpresi da questa
lettura e interessati ad andare a fondo delle storie che avrebbero guardato da
lì in poi.
Di quali argomenti trattate nel corso
per le scuole Faes?
E.
Fornasari: Il modulo sulla televisione, si concentra sulla visione e
l’analisi di alcune tra le serie tv più attuali, con un’attenzione critica
particolare al genere del teen drama, da molti definito il
“romanzo di formazione” per adolescenti dell’epoca moderna, con tutto quello
che tale definizione comporta. Attraverso l’analisi dei personaggi e delle
trame, i ragazzi sono guidati a individuare gli elementi narrativi e testuali,
utili a decodificare il mondo narrativo di riferimento. Dopo la fase di analisi, chiedo ai
ragazzi di mettersi in gioco e di dare spazio alla loro creatività, servendosi
di tutti i mezzi che hanno imparato a conoscere attraverso le lezioni teoriche.
In
gruppi, i ragazzi elaborano quindi una loro idea di racconto seriale da
sviluppare in termini di personaggi, temi, ambienti e linee narrative: la
cosiddetta “bibbia di serie”, che viene poi presentata davanti a tutta la
classe.
R.
Chiarulli: Alla Monforte abbiamo guardato insieme la trilogia di Ritorno al futuro, un classico
intramontabile. Abbiamo lavorato insieme sulla crescita del personaggio,
dall’inizio della saga fino alla sua conclusione, e sullo sviluppo del tema del
film. Ho sfidato le ragazze a considerare come il primo episodio della trilogia
sia un racconto di formazione in cui il protagonista adolescente impara
progressivamente a guardare la propria famiglia con uno sguardo più adulto. Il
salto nel tempo è una metafora del salto generazionale che siamo chiamati a
compiere quando finisce l’età della spensieratezza. Contestualmente all’analisi
del film, abbiamo ragionato sulla funzione dei generi del cinema classico, su
come la fantascienza e il fantasy ricoprano il ruolo che avevano in passato il
mito e la fiaba. Abbiamo approfittato per raccontare aneddoti e toglierci
qualche curiosità su come funziona il mondo del cinema.
All’Argonne abbiamo
analizzato due figure di eroe, in Batman
Begins e in Argo. Due film
diversissimi: il primo è un cinecomic,
un film d’avventura tratto da un fumetto; il secondo è il resoconto un po’
romanzato ma nel complesso veritiero di una rischiosissima operazione segreta
fatta dalla CIA nella Teheran della crisi del 1979. In entrambi i casi, il
protagonista è chiamato a compiere delle scelte rischiose: c’è in ballo l’uso
della responsabilità personale.
Qual è la risposta dei ragazzi? A che
cosa sono più interessati?
R.
Chiarulli: Molto positiva. Alla Monforte abbiamo avuto anche più tempo
per conoscerci e creare il giusto clima di fiducia reciproca. C’è stato anche
un fuoriprogramma, in una mattina in cui metà della classe era fuori per
un’altra attività: abbiamo sospeso il programma per un’ora e, nell’attesa che
arrivassero le compagne, le ragazze mi hanno chiesto di parlare della Grande bellezza. Alcune di loro
l’avevano visto in televisione e non si erano capacitate dei premi, del
clamore. Abbiamo ragionato insieme su cosa fosse quel film, cosa rappresentasse
e perché, di fronte agli osanna, piacesse così poco al pubblico. Ho trovato le
ragazze molto attente, curiose, protese a capire e a farsi domande.
All’Argonne abbiamo avuto meno tempo
per rompere il ghiaccio e qui la collaborazione dei docenti è stata essenziale.
Con il professor Bramati abbiamo mostrato ai ragazzi come i racconti
cinematografici obbediscano alle stesse regole narrative della letteratura, dei
fumetti, della musica... e, quindi, che i mondi del sapere che stanno
conoscendo a scuola, in maniera che può sembrar loro frammentaria, sono invece
collegati. I feedback dai maschi sono stati meno evidenti ma quando i ragazzi
ascoltano in silenzio è un buon segno.
Che
bilancio potete far sin qui di questa esperienza con i licei Faes?
R.
Chiarulli: Assolutamente positivo. Ciò che ci preme sottolineare è che
questo corso è un esperimento in fieri
e siamo contenti di avere riscontri dai ragazzi, dagli insegnanti e dalle
famiglie per adattarci sempre meglio, insieme ai tempi che corrono e che
cambiano, alle esigenze della scuola. Vorrei concludere ringraziando la dottoressa Chiara Toffoletto,
che fino all’anno scorso ha guidato il nostro team e che quest’anno per motivi
professionali ha dovuto cedere il testimone, e la dottoressa Maria Chiara De
Leonardis, che due anni fa condusse un mini-corso di etica della comunicazione
con le ragazze del triennio.
giovedì 18 settembre 2014
Generazione abbreviazioni!
di Antonio Filigno
Abbreviazioni, acronimi, omissione di parti del discorso, sono le caratteristiche del linguaggio ai tempi della comunicazione globale. Lo spazio va utilizzato in economia e l’unico tempo possibile è il presente, rapido, veloce, effimero.
Abbreviazioni, acronimi, omissione di parti del discorso, sono le caratteristiche del linguaggio ai tempi della comunicazione globale. Lo spazio va utilizzato in economia e l’unico tempo possibile è il presente, rapido, veloce, effimero.
È giusto ritenere i social network e le chat responsabili della morte del linguaggio corretto? Parrebbe proprio di sì. Recentemente, l’Università di Manchester ha effettuato uno studio prendendo in esame ragazzi dai 18 ai 24 anni e verificando la loro capacità di scrittura. Sono emersi dei dati preoccupanti. Pare che il 22% degli intervistati (un dato non di poco conto) abbia ammesso di avere delle difficoltà a scrivere correttamente un testo senza avvalersi del correttore ortografico o un dizionario. La spiegazione per cui così tanti ragazzi commettano errori (anche gravi) di scrittura, sta nell’uso eccessivo delle abbreviazioni e dello slang tipico delle chat e dei social network.
Nel mondo delle chat la comunicazione avviene attraverso la parola scritta e viene penalizzata dalla lentezza della rete e dalla difficoltà di far comprendere all’interlocutore il nostro stato d’animo, con conseguente fraintendimento tra le parti. Nel tempo, il linguaggio delle chat si è arricchito di moltissime espressioni e acronimi che, se da un lato hanno contribuito a renderlo più veloce e più efficace dal punto di vista della comunicazione, dall’altro penalizzano la lingua perché decade l’esigenza di attenersi alle regole della grammatica e dell’ortografia.
Alcune espressioni addirittura sono entrate nel linguaggio comune, una su tutte: “ti taggo”. L’aspetto più negativo è dato dall’effetto che queste distorsioni linguistiche hanno sulle generazioni di bambini nati nell’era del computer e di internet: il loro scrivere “scorretto” si è trasformato da un vezzo alla norma.
Nei paesi di lingua anglosassone il linguaggio delle chat è diventato quasi una nuova lingua, a volte incomprensibile per chi non è abituato a comunicare attraverso di essa. Le abbreviazioni (di tre o più lettere) di frasi e parole, permettono una digitazione più veloce riducendo i tempi di attesa in chat. Sono usati soprattutto nella lingua inglese, che è anche l’idioma più usato tra i chatters di tutto il mondo.
Chissà, forse abbiamo sottovalutato la cosa, ma questa forma di linguaggio ha ampiamente sconfinato nel linguaggio comune, soprattutto quello giovanile. Le abbreviazioni e le faccine, meglio note come emoticons, vengono utilizzate in ogni comunicazione che implichi una scrittura veloce.
I ragazzi si identificano in questo modo di comunicare e ne sono protagonisti. L’uso e la comprensione del linguaggio segna l’appartenenza ad un gruppo, che non è più la semplice comitiva di amici o di compagni di scuola ma quella del villaggio globale.
lunedì 15 settembre 2014
Genitori e figli... si riparte!
Si parte, e il cammino sarà lungo, ma ricco di emozioni... E, proprio come prima di intraprendere un viaggio, che non si sa dove ci porterà, come sarà, o con quali mezzi avverrà, è questo il momento in cui si "mettono in valigia" una vasta gamma di emozioni che rendono spesso complicata l’ “accensione dei motori”.
La scuola occupa un posto di rilievo nella vita dei bambini e delle famiglie, è luogo dove si riversano grandi aspettative e dove inevitabilmente si riversano anche ansie e timori.
Infondere quindi entusiasmo per far sentire la voglia di tornare tra i banchi di scuola. Questo il compito per settembre dei genitori. Il ritorno a scuola non deve essere un momento fonte di stress per bambini e ragazzi dopo la fine del riposo estivo. Bisogna 'accendere' nei figli la voglia di tornare sui banchi di scuola con la giusta passione, mettendo da parte paure e angosce.
Ecco una lista di possibili suggerimenti da utilizzare:
- Ripristinare un corretto ciclo "sonno-veglia"già nei giorni precedenti la ripresa scolastica.
- Riprendere una corretta alimentazione
- Adottare un atteggiamento che infonda entusiasmo nell'affrontare la ripresa scolastica: sottolineare ad esempio la gioia nel ritrovare i compagni, nel riprendere attività ludiche e piacevoli...
- Incoraggiare i bambini verso l' autonomia, sia nel vestirsi che nel nutrirsi, ad esempio.
- Ove possibile, prevedere delle visite alla scuola, o nei dintorni, per rendere famigliare l' ambiente al bambino, soprattutto se è la prima volta che entra a scuola.
- Per ridurre lo stress e l'ansia, è giusto organizzarsi la sera prima (anche durante l'anno), preparando, insieme al bambino, lo zaino e gli abiti.
- Soprattutto per il primo giorno è bene accompagnare i figli a scuola, lasciando scegliere, ai più grandicelli se questo è di loro gradimento, perché potrebbero aver voglia di dimostrarsi autonomi di fronte ai compagni.
- Parlare apertamente dei propri stati d'animo, condividendoli con quelli dei bambini.
Buon anno scolastico a tutti!
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