Solo il mercato stabilisce quali sono le scuole migliori, non un “comitato centrale” né i test Invalsi
Ripubblichiamo volentieri questo post apparso sul blog Manibucate a firma Marco Cobianchi che troviamo stimolante per la riflessione.
Certo: capisco che pronunciare la parola “mercato” accanto alla parola “scuola” ha l’effetto di attirarsi gli strali, le accuse, addirittura le minacce di chi pensa che prioritaria sia l’innalzamento della qualità dell’istruzione pubblica senza mai specificare in che cosa consista esattamente “aumentare la qualità dell’istruzione pubblica” se non aumentare la spesa pubblica per l’istruzione pubblica. Ma l’equazione più spesa uguale più qualità non funziona (e non funziona soprattutto in Italia) se non si inserisce nel meccanismo un sistema premiale per le buone scuole e uno penalizzante per le cattive scuole.
Il mercato, nel settore scolastico, non deve far paura, perché esso corrisponde agli utenti, cioè alle famiglie e agli studenti. Faccio un esempio pratico: i genitori (in maggioranza le mamme) hanno ormai già scelto la scuola che i loro figli frequenteranno nell’anno scolastico 2012-2013. E lo hanno fatto sulla base di informazioni assunte sia nel corso degli open day degli istituti sia, soprattutto, sulle informazioni che raccolgono tra amici, parenti, conoscenti, ex studenti, ex docenti. Questi sondaggi portano alla decisione finale. Poi, una volta individuata la scuola migliore, le famiglie si fanno i conti in tasca per stabilire se possonoi permettersi di sostenere le spese di quel tipo di istruzione, magari privata e, nel caso in cui non possano, sono costrette a ripiegare su altri istituti, magari pubblici, che non garantiscono la stessa qualità. Questo è sbagliato.
La soluzione per permettere a studenti meritevoli di frequentare le scuole che i loro genitori non si possono permettere è mettere in concorrenza le scuole che ci sono (pubbliche o private non ha importanza) attraverso lo strumento del “buono scuola” che abbassa il prezzo dell’istruzione rendendo omogenei i costi per l’utente-famiglia che possono così decidere in vera libertà quanta e quale istruzione “acquistare”. Sono loro a decidere quali sono le scuole migliori, e non un “comitato centrale”. Sono loro che stabiliranno quali sono le scuole migliori, perché saranno quelle con il maggior numero di studenti e, quindi, con i maggiori incassi che permettono di assumere i migliori professori.
E’ evidente, infatti, che la riforma (ma sarebbe meglio chiamarla rivoluzione) del buono-scuola non può esistere senza un’incisiva riformulazione degli ambiti d’intervento e dei poteri dei dirigenti scolastici (cioè dell’offerta) che devono avere la massima autonomia nelle assunzioni e, conseguentemente, nei licenziamenti dei professori, che diventano, così, il vero asset strategico di ogni singolo istituto.
Dare il potere di decidere alle famiglie e introdurre la meritocrazia nelle aule scolastiche: due tabù sia per la parte maggioritaria del sindacato sia per la parte minoritaria (ma culturalmente egemone) dei partiti. Questo è il motivo per il quale la rivoluzione scolastica era da attendere da un ministro dell’istruzione non legato (?) a nessuno di questi due ambienti. Ma (anche questo ministro) ha preferito passare alle cronache piuttosto che alla storia.
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