mercoledì 30 gennaio 2013

Il Faes e l'Europa




Il Faes amplia i suoi interessi internazionali: il progetto CHIC4ME vede scendere in campo le scuole italiane della rete Faes accanto a una squadra di enti e strutture di molte nazioni europee per scoprire e diffondere la cultura della creatività e imprenditorialità nelle scuole della Comunità.

Nell’incontro preliminare che si è svolto a Ceske Budejovice, tre ore di treno a sud di Praga nella Repubblica Ceca a inizio gennaio, il team di partner che comprendere istituzioni pubbliche e private di Norvegia, Belgio, Cechia, Slovacchia, Romania, Malta, Cipro e Spagna, oltre che Italia ovviamente, ha deciso di presentare alla CEE la richiesta di finanziamento per il progetto CHIC4ME che prosegue quanto già svolto da un pool di enti nel triennio precedente con la sigla ECECC.

Ma che cosa vuol dire e in che cosa consiste il progetto che, se approvato, vedrà lavorare le scuole di Faes Italia, con il ruolo di capocommessa e coordinatrici delle attività, per un triennio dal 2013 al 2016 con i partner europei?

L’acronimo sta per Creative Handly Innovative Class FOR Managing Entrepreneurship, ossia detto in altri termini come aiutare le scuole e gli insegnanti a stimolare negli alunni delle scuole di ogni ordine e grado, la responsabilità personale, la pro attività, la creatività e la voglia di farsi carico del proprio futuro. In parte questo tema era già stato anticipato dal precedente progetto europeo che qui trova il suo ampliamento e la sua disseminazione a livello internazionale.

Il progetto presentato prevede una forte interazione tra scuola e azienda per capire quali siano le possibilità di stimolare queste qualità nei giovani e come sia possibile trovare un canale preferenziale tra i due mondi per favorire il passaggio degli allievi dall’uno all’altro. È prevista anche una conferenza nazionale, che avrà luogo in ognuno dei paesi dei partner del consorzio, e nel 2016 a conclusione del progetto una conferenza internazionale, da tenersi a Bruxelles, dove il meglio di quanto raccolto in tutti i paesi verrà esposto davanti ad un pubblico di personaggi chiave della Comunità Europea.

lunedì 28 gennaio 2013

Alleati per educare: scuola e famiglia


Pubblichiamo volentieri un articolo di Michael Dall’Agnello, docente alla scuola media Braida di Veronache è apparso su Vita Nuova, settimanale diocesano di Trieste

Michael, a cui piace definirsi amante della montagna e delle arrampicate, insegna dal 1996 alla scuola maschile di Verona che, come le scuole Faes di Milano e le altre della rete Faes in Italia oltre a molte centri scolastici in tutto il mondo, si rifà ai principi educativi di Victor Gracia Hoz.

In questo brano illustra con molta chiarezza e utilità il rapporto di alleanza educativa che deve e può instaurarsi tra scuola e famiglia. 



Mettere assieme per costruire insieme
Pare che una delle ragioni per cui, dopo l’unificazione del 1989 che portava con sé il poco invidiabile retaggio dell’ex DDR, la Germania è tornata ad essere il motore economico dell’Europa, sia stata l’inesistenza delle controversie aziendali, grazie ad un patto, più o meno esplicito, tra lavoratori –sindacati compresi- e imprenditori: ognuno rinunciava in sostanza all’esclusività delle proprie rivendicazioni per trovare un accordo in funzione del bene dell’azienda e quindi di tutti.
Credo che questa sia una regola che si può applicare anche in campo educativo.
Alla base del successo tedesco sta un ideale condiviso –il bene dell’azienda- che per essere realizzato ha bisogno di comunicazione, cioè di mettere assieme per costruire insieme. Parallelamente alla base di una buona educazione sta un ideale condiviso –il bene dei figli-, che per essere realizzato ha bisogno di comunicazione, dapprima tra i genitori, e poi con tutti i soggetti che vengono a contatto con i figli. Mi riferisco per esempio alla cerchia parentale (nonni e zii che comunque devono sapere cosa vogliamo per i nostri figli), ai nostri amici, ma anche e soprattutto alla scuola.
Purtroppo oggi, anche in campo educativo, si confonde la comunicazione con lo scambio d’informazioni. E così, all’interno della famiglia, specie con l’arrivo dei figli, si passa da frasi del tenore di “Tu come stai?” ad altre come “Hai fatto questo?”, “Chi porta Giacomino scuola?” ecc., e si entra in una sorta di autismo relazionale, che prima o poi finisce per implodere o esplodere.
Comunicare invece vuol dire condividere le proprie aspirazioni e le proprie idee, le passioni e le fatiche, i sogni e le delusioni, i successi e le paure, in una parola instaurare una relazione vitale, significativa: partire cioè dal concetto che “Tu per me vali molto, e questo lo capisci prima di tutto da come ti guardo negli occhi!” Altrimenti basterebbe un computer per educare i nostri figli.
Per entrare in relazione bisogna imparare ad ascoltare.
Credo che ogni relazione, innanzitutto tra moglie e marito, ma anche quella con le altre “agenzie educative” tra cui la scuola, debba diventare, nonostante le inevitabili “stonature di percorso”, via via sempre più una sinfonia. Ognuno suona uno strumento diverso, note differenti, ma la musica deve essere una sola. Per educare i figli, tra marito e moglie, non importa granché chi sia a dirigere, l'importante è seguire il ritmo. A darlo sarà a volte la moglie, altre, il marito, e altre ancora –pur nella sua specificità- l’insegnate che condivide l’educazione del figlio. Il problema nasce quando ognuno va per conto suo e si finisce per trasformare la musica in rumore: quanti ragazzi sono frastornati dal “rumore educativo”! C’è bisogno di tornare ad imparare ad ascoltare -più col cuore che con le orecchie- e seguire il ritmo.
Ascoltare, ma anche avere un minimo di spartito, cioè un progetto educativo condiviso, che, pur con gli adattamenti e le variazioni del caso, venga ad essere il leitmotiv, il tema dominante. Il progetto educativo non è altro che il piano di lavoro che i coniugi devono avere per ogni figlio e così aiutarlo a diventare uomo, persona adulta, cioè onesta, leale, fedele, rispettosa degli altri, generosa e, in ultima analisi, felice.
Una volta tutte queste cose erano scontate; ad educare non erano solo i genitori, o la scuola, ma la società, perché questi valori erano condivisi, si viveva in una sorta di “villaggio educativo”, in cui ognuno svolgeva la sua parte. Oggi non è più così, viviamo in un modello di “società liquida”, in cui i rapporti non hanno più una base condivisa e rimangono spesso frammentari. Subentra perciò l’esigenza di una maggiore intenzionalità nell’educazione, perché niente è scontato. C’è inoltre bisogno di un’alleanza educativa tra i vari soggetti, e con la scuola in primis, la quale può fare ancora molto, perché anche oggi ha una funzione riconosciuta.
Nel mio lavoro d’insegnante capita di avere sì a che fare con i genitori, ma spesso si tratta di lamentele o proposte irrealizzabili, che portano purtroppo a un muro contro muro: da una parte la scuola e dall’altra i genitori. Si passa da frasi come “Il tal maestro ce l’ha con mio figlio” a “Il cibo della mensa non va bene” per finire con “Quel voto che ha dato a mio figlio non è corretto”… e ciò quando ancora si riesce a mantenere un contegno civile. Questo modo di rapportarsi non è né un’alleanza, né educativo, perché ognuno rimane dalla sua: non c’è vero ascolto, né tantomeno condivisione, e chi ci va di mezzo sono i ragazzi.
Come per il caso della Germania, dovremmo imparare a mettere da parte l’esclusività delle nostre rivendicazioni, per instaurare un’alleanza in cui, in un certo modo, si cerchi di tirare il carro nella stessa direzione. Ciò è possibile se abbiamo un progetto che vada oltre il transitorio, un’idea condivisa dell’uomo che vogliamo possa diventare nostro figlio, se impariamo a chiederci “Chi voglio diventi mio figlio?” più che “cosa”, e impariamo a comunicare con gli insegnanti con una visuale a 360 gradi. Credetemi, parlo da insegnante, spesso si può fare, soprattutto in quelle scuole in cui è chiaro l’intento di collaborare con i genitori, ci vuole solo un po’ di coraggio per lanciarsi, ma ne vale la pena!

venerdì 25 gennaio 2013

"Che bella giornata"... in compagnia di Gennaro Nunziante



Grandissimo successo di pubblico per il primo appuntamento del 2013 del ciclo Diet Conferences - investigazioni culturali a basso contenuto di noia. Protagonista dell'evento l'attore, sceneggiatore e regista Gennaro Nunziante.

Due ore all'insegna del divertimento in cui Gennaro ci ha raccontato come è nata la sua passione per la recitazione e quanto ha dovuto lottare contro lo scetticismo della famiglia (il padre lo voleva ferroviere come lui) e del mondo della recitazione. Inizia col descriverci la sua carriera, dalle delusioni iniziali fino ad arrivare al successo.

Viste le difficoltà di imporsi nella "piccola e povera (artisticamente parlando)" Bari, decide di trasferirsi a Roma dove gli viene data una possibilità da Flavio Bucci. Qui matura la prima grande decisione professionale della sua vita: mai più teatro!

Tornato a Bari a partire dal 1985 si mette in luce come ideatore e autore di testi per programmi televisivi nei quali recitano i comici Toti e Tata (Emilio Solfrizzi e Antonio Stornaiolo) e quindi con un programma televisivo di grande successo nell'emittente televisiva locale TeleBari. Successo che gli vale un "contrattone" (per gli standard a cui era abitutato fino ad allora) nella più famosa TeleNorba. 

Ed è proprio qui che un giorno si presenta per un provino Luca Medici, in arte Checco Zalone, che lo colpisce per la simpatia, la goffaggine e la caparbietà nel farsi conoscere ed apprezzare. Inizia la collaborazione che li porterà al successo.

Eccellente nella scrittura comica, nel frattempo Gennaro diventa sceneggiatore cinematografico: nasce l’idea di un film insieme ma lo scetticismo generale che gravita intorno ai “due pugliesi” vale loro innumerevoli porte in faccia. E’ il produttore Pietro Valsecchi il primo a dar loro fiducia e carta bianca. Quando esce “Cado dalle nubi” nessuno crede al successo del film: le previsoni più ottimistiche sono di un incasso di 3 milioni di euro ma dopo soli due giorni la pellicola è già a quota 2,8 milioni e chiuderà a 14! Come nella più classica tradizione italiana tutta l’ironia che li aveva accompagnati nella preparazione del film di colpo diventa complimento e tutti sono pronti a “salire sul carro”.

Tra un aneddoto e l’altro Gennaro ci racconta di come il pregiudizio li accompagna anche nella preparazione del secondo film al quale lavorano. L’idea comune è che un colpo di fortuna, perché è di quello che si tratta per tutti gli addetti ai lavori, capita solo una volta nella carriera. E ad alimentare le perplessità è anche la scelta del tema: il terrorismo. Ma dopo qualche resistenza arriva il via libera dalla casa cinematografica. Il successo di “Che bella giornata” è senza precedenti: l’incasso finale di 43 milioni di euro ne fa il film di maggior incasso in Italia dopo “Avatar”.

Tuttavia quello che salta all’occhio è come il successo non abbia minimamente scalfito l’indole da uomo semplice e di spirito di Gennaro. Un pomeriggio davvero divertente in sua compagnia conclusosi con una piccola anticipazione del suo prossimo lavoro, sempre con l’amico Checco, dal titolo “Sole a catinelle”.


mercoledì 23 gennaio 2013

Un ottimo risultato!


Sono stati resi noti i dati delle prove Invalsi relativi alla seconda liceo dell'Argonne dell'anno scorso. 


I risultati positivi conseguiti dagli studenti confermano l’efficacia di una didattica che, in sintonia con le indicazioni ministeriali sull’apprendimento nell’area linguistica e scientifica, cerca nella scuola di favorire al meglio la personalizzazione del processo di insegnamento e apprendimento. 

Secondo i risultati, molto buoni sia a livello regionale che nazionale, ci collochiamo perfettamente in linea con i migliori licei milanesi, oltre la media nazionale, soprattutto in matematica. 
Interessante il dato di genere, che vede gli esiti dei nostri maschi molto più alti rispetto ai maschi nelle altre classi miste.  

Obiettivo dell’Invalsi è migliorare e rendere più omogenea la qualità della scuola italiana, elaborando valutazioni oggettive e mettendo a disposizione delle istituzioni e delle singole scuole i risultati. 
Questo meccanismo dà la possibilità ai singoli istituti di avviare processi di valutazione e autovalutazione, individuando sia gli elementi positivi da conservare, sia quelli negativi sui quali intervenire per risolverli.

Siamo orgogliosi di veder confermato il nostro Istituto scolastico tra i migliori non solo a livello nazionale, ma anche regionale.

lunedì 21 gennaio 2013

Piccoli scrittori crescono!


Si chiude con un grandissimo successo la prima parte del concorso letterario organizzato dal Faes in collaborazione con le edizioni Ares. 
A partecipare numerosissimi ragazzi e ragazze di terza secondaria di primo grado che hanno aderito con entusiasmo alla gara inviando il proprio racconto con protagonisti dei giovani studenti delle scuole Faes.

Salgono sul podio, assicurandosi un Kindle E-Book come terze classificate a pari merito, Alice Levy, dell'Istituto Moscati-Mameli, e Francesca Casati, della "nostra" Monforte.
Secondo classificato, proveniente dall'Istituto Leonardo da Vinci di Basiglio, Federico Scolari, che si aggiudica un Kindle Fire.
Al primo posto, vincitrice della prima tappa del concorso con in palio un Kindle Fire HD 16 Gb, Elena Picchioni, dell'Istituto Comprensivo di Canneto sull'Oglio (MN).


Per rendere l'idea del livello della competizione proponiamo qualche passaggio tratto dai loro 
racconti.


"Giulia, da vera investigatrice esclamò: “Ragazzi, ho avuto un’illuminazione! Forse il blackout non c’entra nulla, forse è solo un caso!! Forse siamo noi che abbiamo pensato che c’entrasse qualcosa!”
L’idea di Giulia era che solamente il fatto che gli studenti avessero pensato che il blackout aveva fatto qualcosa di “magico” che li portava a credere che tutti i desideri si potevano realizzare. Tutti avevano fatto del loro meglio solo spinti dall’idea che c’era qualcosa di magico nell’aria, che poteva far realizzare tutti i loro desideri e risolvere le loro paure!" Alice Levy





"I quattro ragazzi si strinsero attorno alla stella. Esperus si staccò dal gruppo, camminò per qualche metro ed iniziò a dissolversi – un’ultima cosa, ragazzi: ricordatevi che la speranza è un sogno ad occhi aperti. Addio… - Esperus era scomparso, ed al suo posto erano rimaste delle scintille dorate che presero a vorticare ed a salire nel cielo, finché non scomparirono del tutto, lasciando un senso di serenità nei cuori dei ragazzi." Francesca Casati


"Il rumore potentissimo fece sobbalzare gli amici e una botola si aprì dietro di loro, scura e pesante, e i ragazzi furono avvolti nel vortice comparso all’interno dell’apertura. Il custode, allibito, osservò il vuoto ed il silenzio della stanza. Sembrava quasi che la luce della luna si fosse spenta. Il custode non ricordava più nulla, e si ritirò nuovamente sulla sua sedia da custode e lì rimase, addormentato, per un’intera notte. Cosa succederà ai nostri amici? Phil e Chiara riusciranno a scrivere l’articolo e come continuerà il loro rapporto?" Federico Scolari


"Giulia alzò lo sguardo e vide nello specchio di fronte l’immagine del signor Fuorlin. Stava in piedi, accanto alle scale con un sorriso stampato in faccia. Senza perdere tempo Giulia cominciò a correre. Scese i gradini a una tale velocità che neppure Bolt l’avrebbe raggiunta. Giunse in strada, si guardò attorno più volte, ma lui non c’era. Per l’ennesima volta era sparito…" Elena Picchioni


E ora sotto con la seconda fase del concorso... in palio premi ancora più importanti!
Per tutte le news su scadenze e indizi tenete d'occhio il blog e la pagina facebook! Stay tuned!


venerdì 18 gennaio 2013

Le donne in Italia... un capitale umano da valorizzare!


Proponiamo un interessante articolo tratto da "La ventisettesima ora", blog di corriere.it, in cui si parla del ruolo della donna all'interno della nostra società.


L’Italia non sta utilizzando al meglio una parte importante del suo capitale umano, le donne. È una perdita colossale per la nostra economia. Quando studiano, le ragazze italiane sono più brave dei ragazzi, in tutte le materie. I dati del programma Pisa (Programme for international student Assessment, l’indagine promossa dall’Ocse — l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico — allo scopo di misurare le competenze degli studenti in matematica, scienze, lettura e abilità nel risolvere problemi) mostrano che a 15 anni le ragazze italiane raggiungono punteggi di gran lunga superiori ai maschi in «abilità di lettura» (510 contro 464, una differenza enorme) ma anche in «abilità scientifica»(490 contro 488). Solo in matematica le ragazze fanno un po’ meno bene dei maschi. Non è da escludere che questo sia un effetto indotto da una cultura che assegna a ragazzi e ragazze ruoli diversi: «La matematica è una cosa da uomini».
Lo si vede nella scelta dell’università: il 76% delle matricole delle facoltà umanistiche sono donne; nelle scientifiche solo il 37%. Questa scelta probabilmente riflette anch’essa stereotipi culturali.
Perché laurearsi in fisica nucleare per poi fare la casalinga?
Meglio studiare poesia. Quando però le donne si iscrivono a una facoltà scientifica, spesso sono più brave: alla Federico II di Napoli, ad esempio, il 37% delle ragazze si laurea con 110 e lode, contro il 24% dei maschi.
La partecipazione alla forza lavoro delle donne in Italia è tra le più basse dei Paesi Ocse e la più bassa in Europa. Nel 2011 solo 52 donne italiane su 100, fra i 15 e i 64 anni, lavoravano o cercavano attivamente un lavoro. In Spagna erano 69, in Francia 66, in Germania 72, in Svezia 77. Solo in Messico e Turchia erano meno che in Italia. È vero che le donne più giovani lavorano di più: ad esempio, nella classe di età 35-44, il tasso di partecipazione è aumentato di 5 punti in un decennio. Ma rimane 15 punti inferiore al corrispondente tasso tedesco.

Il motivo di queste differenze straordinarie è che in Italia la divisione dei compiti tra lavoro domestico e lavoro retribuito sul mercato è più sperequata fra uomo e donna. La donna lavora in casa, il marito o il compagno in fabbrica, o in ufficio, sebbene, come abbiamo visto, il capitale umano delle donne giovani sia in media più alto di quello degli uomini.
Insomma, troppe donne con grandi potenzialità non le sfruttano. I dati lo dimostrano chiaramente. All’interno delle mura domestiche le donne italiane fanno molto di più dei loro compagni: 6,7 ore di lavoro casalingo al giorno contro meno di 3 ore. Sommando il lavoro nel mercato e a casa, sono gli uomini ad apparire cicale mentre le donne, come formiche operose, lavorano quasi 80 minuti al giorno in più dei loro compagni. E questo accade indipendentemente dal livello di istruzione: è vero sia per le donne con la licenza elementare che per le laureate.
Perché le donne italiane lavorano così poco fuori casa? Si dice perché non ci sono abbastanza asili nido gratuiti o sussidiati. Magari fosse così semplice! In primo luogo tutte le donne in Italia lavorano meno che in altri Paesi, non solo le giovani madri. Inoltre, in molti casi, i bambini non verrebbero mandati al nido neanche se questo fosse gratuito perché si pensa che sia la mamma a doversi occupare dei figli piccoli.
Ci si aspetterebbe che il nostro fosse un Paese con un alto tasso di natalità. E, invece, tanta attenzione per i figli non si riflette in tassi di fertilità altrettanto elevati: anzi, la fertilità è molto più alta in Svezia, dove quasi tutte le donne lavorano (1,9 figli per donna), che in Italia (1,4).
Insomma, le ragioni della scarsa partecipazione al lavoro sono molto più profonde: hanno a che fare con la nostra cultura, che assegna alla donna il ruolo di «angelo del focolare» e all’uomo quello di produttore di reddito.
Ma il risultato è che tanti uomini mediocri fanno un mediocre lavoro in ufficio; un lavoro che le loro mogli casalinghe farebbero molto meglio perché hanno più capitale umano. Inoltre, al momento degli scatti di carriera spesso le imprese preferiscono gli uomini; magari non semplicemente per discriminazione di genere, ma perché sanno che in caso di conflitto fra esigenze familiari e aziendali un uomo sarà più disposto di una donna ad anteporre le esigenze dell’azienda a quelle della famiglia.
Il risultato è che il capitale umano del nostro Paese è sottoutilizzato perché quello femminile è usato poco e male.
La famiglia rimane un’istituzione fondamentale della società, nessuno lo nega. Ma il punto è che in Italia, più di ogni altro Paese europeo, il carico della famiglia è troppo sbilanciato sulla donna. Fino a quando non si aggiusta questa equazione non si fanno passi avanti. Sia chiaro: ci stiamo muovendo su un terreno minato, che sfiora il dirigismo culturale. Forse gli italiani (uomini e donne) sono contenti così. Cioè sono contenti di una distribuzione del lavoro domestico e nel mercato tanto sbilanciata. Se così fosse, non c’è alcun motivo per cui il legislatore debba intervenire.
Ma siamo proprio sicuri che le donne italiane siano cosi felici di assumersi carichi domestici che paiono ben superiori a quelli delle donne di altri Paesi europei? Siamo così sicuri che tutte le donne siano contente di non essere promosse nel lavoro perché devono farsi carico della famiglia (non solo dei figli, anche di genitori e parenti anziani) praticamente da sole?
Forse no, e allora il prossimo governo dovrà mettere la questione del lavoro femminile al centro del suo programma. Proposte ce ne sono. Ad esempio uno di noi (Alesina, insieme ad Andrea Ichino) ha da tempo suggerito vari metodi per detassare il lavoro femminile e favorire la partecipazione al lavoro delle donne. Si deve anche pensare ad un uso molto più flessibile del part-time per facilitare la gestione familiare, come nei Paesi nordici, dove il part-time è molto più diffuso che da noi. Attenzione però: part-time sia per uomini che per donne, appunto per riequilibrare i ruoli nella famiglia.
Mario Monti nella sua Agenda ha ricordato il problema del ruolo della donna nella nostra società.
Il prossimo governo dovrà partire proprio da lì.

mercoledì 16 gennaio 2013

Il bello e l'arte in rete: il mondo di Rosa Giuffrè II parte



Riprendiamo l’intervista con Rosa Giuffré (qui la prima parte) autrice del blog futurosemplice che ci introduce al tema del bello. Infatti iniziamo parlando di arte


Arte e social network: come trovare una sinergia?

Appena ho letto la domanda la risposta che mi è venuta in mente è stata: Pinterest! Per interessarmi ad un'opera devo vederla e Pinterest vive di immagini che puoi pubblicare sulla tua bacheca e puoi “rubare” da altre bacheche. Le immagini possono essere linkate a siti esterni e questo passaggio lo rende potenzialmente interessante. Un gallerista ad esempio potrebbe utilizzarlo per promuovere le proprie opere e le mostre che organizza. Non dimentichiamo che il tutto può essere promosso tramite Twitter e FB per aumentare l'interesse, la condivisione. Anche in questo caso: chi rimane ancorato ai vecchi standard comunicativi non potrà percepire la potenzialità e la visibilità che uno strumento come questo potrebbe darti. 
Agli inizi di dicembre ad esempio, ho partecipato ad un evento organizzato da Banca IFIS di Mestre durante il quale, per promuovere un conto corrente le cui regole sono state definite solo tramite la community on-line, è stato premiato un ragazzo e la sua opera di street-art. L'evento ha avuto un forte riscontro sui social e di conseguenza sono venuti a conoscenza del talento di questo ragazzo alcuni galleristi che gli hanno concretamente fatto delle proposte. Ecco un esempio creativo, ma concreto, per usare i social e per promuovere l'arte e il proprio business.


Social network e contenuti: è possibile condividerli? Come?
Se per contenuti intendi link a articoli e post, ti risponderei subito certo! Innanzitutto con twitter e poi a cascata sugli altri social. Se per “contenuti” intendiamo riflessioni profonde che necessitano i tempo, ecco, qui mi trovi un po' dubbiosa. Ti spiego perchè: mi accorgo che spesso presi dalla smania di condividere cliccare, non si legge bene, ci si ferma ai titoli, ai grassetti a volte fuorviando il reale significato di quell'articolo o di quel post. Se esiste un rischio che percepisco di questo magico mondo virtuale è proprio questo: la fretta e la velocità con cui si può condividere non deve essere alibi per non approfondire. 
Di esempi ne potrei fare molti, ma ho letto proprio in questi giorni un bellissimo post di Veronica Gentili, che tu Paolo conosci perché hai intervistato sul mondo delle PMi e la rete sul sito di Francesco Russo (che conosci bene perchè anch'essa ospite dei tuoi blog) nel quale analizza splendidamente il caso Instagram di qualche giorno fa. In pratica per alcuni giorni si è creduto che Instagram (un social sul quale vengono pubblicate foto scattate dal proprio smartphone) potesse vendere le nostre foto private “il punto è che milioni di persone, me compresa, hanno creduto che fosse possibile la storia della vendita delle foto, semplicemente perchè non si ci siamo fermati un attimo a riflettere. Perchè corriamo, andiamo tutti di fretta, siamo subissati ogni giorno dal mare di informazioni che il Web ci fa piovere addosso e a volte, “per far prima”, ottundiamo la nostra capacità critica.” Un nostro errato commento, una nostra errata condivisione può essere fuorviante perchè presa per reale grazie alla reputazione che nel tempo ci siamo creati in rete. Pur partendo dal presupposto che, così come alcuni dicono “ognuno è libero di scrivere ciò che vuole” credo ci debba essere un silenzioso e doveroso rispetto per i propri followers perchè si aspettano da noi condivisioni di veri “contenuti”. Siano essi 10 o 100 abbiamo il dovere di curare ciò che scriviamo e pubblichiamo dedicando più tempo alla selezione e poi alla condivisione.


Che cosa è la rubrica socialoutfit presente nel tuo blog?
E' un gioco! Il gioco della moda. Non sono una guru e il mio non è un fashion blog, ma mi piace giocare al giusto abbinamento (che oggi i più fashion chiamano outfit!). Così un giorno, è nata questa idea e funziona sinteticamente così: tu mi scrivi e mi chiedi un consiglio, se hai qualcosa che vorresti abbinare, ma che non sai come; io elaboro degli abbinamenti su un sito apposito e poi voilà il #socialoutfit è fatto! Ho trovato un hashtag che potesse essere simpatico. Ripeto, è un gioco che faccio nel tempo perso, ma che mi diverte molto! Vuoi giocare anche tu Paolo? :-)


Che prospettive può avere il mondo dell’educazione e della scuola sulla rete? che cosa fare e come?
Così come per gli altri ambiti, non è lo strumento è il come viene utilizzato (e soprattutto se lo si conosce!). Ho appena letto di un professore di Saronno che con l'uso strategico di Facebook ha aumentato la resa scolastica delle propria classe. Bravo e intelligente. Non si tratta di adattare la scuola ai capricci di adolesenti, ma di capire che esistono diverse strade che, se ben strutturate e organizzate, possono concretamente supportare l'apprendimento. Perchè non immaginarci una bacheca in Pinterest in cui pinnare i compiti? O esercizi scaricabili tramite FB? Un hangout su Google+ di classe per chi magari non può essere in classe? Forza professori!


Letteratura e rete: in che modo si possono aiutare?

Credo che chi ama leggere libri rilassandosi a casa e adora assaporarne il profumo di carta stampata rimarrà fedele a questa sensazione ancora per molto anche se la tendenza, lentamente, sta cambiando. Non possiamo nascondere che l'avvento degli e-book ha generato un ennesima rivoluzione e che è una tendenza in aumento (pensiamo alla sostituzione di libri di testo nelle scuole). Mi immagino delle promozioni sia per la versione tradizionale che per e-book: Pinterest potrebbe supportare i link a siti di e-commerce (momentaneamente l'opzione che permette di segnalare un prezzo è disponibile solo in dollari); oppure si potrebbero creare delle fans page dalle quali poter scaricare sconti, o ancora delle community tematiche su un particolare argomento. Io ad esempio ho aperto una board condivisa che ho chiamato #librocheconisiglio: una piccola bacheca nella quale le persone possono pinnare il proprio libro (di comunicazione, marketing) consigliando agli altri perchè leggerlo… e chissà che con qualche consiglio le persone acquistino proprio quel libro. La gente, grazie al cielo, legge ancora... con strumenti differenti, ma legge!

martedì 15 gennaio 2013

Non si può più tacere


Ripubblichiamo molto volentieri questa importante intervista alla neuropsichiatra infantile Mariolina Migliarese apparsa sabato 12 gennaio sul quotidiano La Stampa.


Gli esperti avvisano: le difficoltà
ci sono, non basta l’amore in casa
SARA RICOTTA VOZA
MILANO
La buona notizia, comunque la si pensi sull’argomento, è che se ne parli. Quella brutta è che si aspetti spesso il fatto di cronaca perché il discorso pubblico affronti temi seri e delicati che richiederebbero più approfondimento e serenità di clima. Anche in questo caso, infatti, la discussione sull’opportunità o meno che un figlio cresca in una coppia omosessuale non viene da un convegno o da un’importante ricerca di psicanalisti italiani, ma da una sentenza e da un tribunale (per quanto alto e prestigioso come la Cassazione). 

E così agli psicanalisti tocca sempre più spesso commentare i criteri su cui hanno già deciso i giudici. Questi ultimi, nel caso specifico, hanno valutato come determinante per la loro scelta la mancanza di «certezze scientifiche o dati di esperienza».  

«Io mi chiederei prima che cosa vuol dire “certezza” e “dati di esperienza” su problemi di tipo psicologico», si chiede Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e autrice di fortunati libri sulla famiglia: «La famiglia imperfetta» e «La coppia imperfetta». «Da sempre la psicanalisi lavora sulla qualità e sulla profondità, non sulla quantità», spiega Migliarese. «Piuttosto bisognerebbe chiedersi: quali dati cercare? Direi quelli che indicano che cosa va nell’interesse del miglior bene del bambino e del suo sviluppo sereno. Su questo ci sono moltissimi studi ed esperienze». E che cosa è meglio per un figlio? «Fra i bisogni primari c’è l’amore, la cura, l’accudimento e questo può essere effettivamente dato sia dalla figura maschile sia da quella femminile, ma poi ha bisogno di essere accompagnato nella costruzione della propria identità». E siccome il bambino legge se stesso nell’adulto può mancargli il modello con cui identificarsi. «La negazione del valore della differenza sessuale - il corpo è un dato - provoca una gravissima interferenza nella costruzione dell’identità». Che magari non si vede nell’infanzia, ma esplode con la pubertà e la preadolescenza.  

La collega Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dell’età evolutiva alla Sapienza di Roma, è più possibilista. «Pragmatica, direi, nel senso che andrei a vedere caso per caso che cosa è meglio per il minore, e nel caso particolare di questa sentenza direi che si è fatta la scelta giusta». Ma la docente non nega che «se a quattro anni un bambino scopre di avere due mamme o due papà» questo non sia un «problema». Lo è. «Bisogna avere la sensibilità di seguire figli nei vari passaggi; è un po’ come per i bambini adottati, a un certo punto vogliono sapere la verità». Ma la società, per la professoressa, non è ancora pronta. Né all’interno della famiglia, né all’esterno. «Non si può negare che è una complicazione in più, che però si può fronteggiare se la società esterna mette da parte pregiudizi e razzismi, e se all’interno i genitori omosessuali evitano a loro volta di chiudersi nella difesa ideologica». La conclusione? «Non è una questione affettiva, ma conoscitiva, di capire come il figlio vive la situazione della sua famiglia e, se vi cerca un modello maschile o femminile che non trova, dargli la possibilità di aprire a familiari e amici di altro sesso».  

Il dibattito - che all’estero è più vivo, specie in Usa dove il fenomeno è meno recente - si innesta su quello lanciato da Galli Della Loggia sul «Corriere» a fine anno, quando commentando il documento del Gran Rabbino di Francia su «Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione», aveva invitato gli psicanalisti a sfidare il «conformismo» delle idee dominanti sul tema (in gran parte «pro» sentenze come questa). Fulvio Scaparro e Silvia Vegetti Finzi hanno risposto. Se ne stanno aggiungendo altri. «In effetti», conferma la neuropsichiatra Migliarese, «più che contrapposizione, da noi c’è silenzio».  

lunedì 14 gennaio 2013

La 2 giorni di fuoco del mondo Faes!


Venerdì 18 e Sabato 19 saranno davvero due giorni pieni per il Faes a Milano!
Facciamo quindi un piccolo riassunto di quello che ci aspetterà.

Si parte venerdì alle ore 18.00 con un nuovo appuntamento del ciclo di Diet conferences - investigazioni culturali a basso contenuto di noiaospite della scuola Monforte l'attore, sceneggiatore e regista Gennaro NunzianteCi parlerà del suo percorso, del mondo del cinema e della televisione visto dall'interno e della sua passione che ha avuto la fortuna di professionalizzare.

Sabato invece la giornata prevede l'Open Day dalle 10.00 alle 13.00 presso il centro scolastico Monforte di via Fossati: vieni con i tuoi figli a incontrare i nostri docenti e a conoscere il nostro progetto educativo personalizzato. 
Durante la mattinata ci sarà inoltre la premiazione del Concorso letterario dedicato agli studenti di terza secondaria di primo grado dove saranno convocati tutti i finalisti.
E visto che non vogliamo farci mancare niente per chi vorrà ci sarà la possibilità di seguire la lezione che il Faes ha organizzato in collaborazione con Focus Junior "Proteggiamo l'ambiente: diamo una nuova opportunità ai rifiuti".

Vi aspettiamo numerosi... non mancate!

domenica 13 gennaio 2013

Intervista a Gini Dupasquier (seconda parte)

Riprendiamo la chiacchierata con Gini Dupasquier, iniziata mercoledì 9 gennaio. La trovate cliccando qui.

Come promemoria ricordiamo che Gini Dupasquier è la fondatrice di DONNALAB, società di consulenza specializzata nell’inclusione e sviluppo delle donne nelle aziende. 
Nata a Milano, si è laureata in Economia Aziendale presso l'Università Bocconi. Ama viaggiare, i gatti, i cavalli e ha due figlie piccole. Prima di dedicare le sue energie a promuovere il valore del “gender balance", Gini ha lavorato in Accenture e IMS Health dove ha maturato la propria esperienza di consulenza e ricerca di mercato. Dal 2012 è nel Board di PWA - Professional Women Association of Milan con il ruolo di Professional Development Director & Mentoring Program Leader.
La trovate ovviamente anche su Twitter.

Ci interessa molto sapere come Gini agisce dato che si impegna per assicurare a tutte le donne una equa e corretta opportunità nel mondo del lavoro. Lungi dal pretendere quote di qualsiasi colore, cerca di ottenere un cambio di mentalità che permetta alle donne di non dover scegliere tra professione e vocazione, ma di favorire un ambiente professionale che valorizzi la genialità femminile senza che questo comporti la necessità di fare scelte di vita radicali. O viceversa. 

Nella prima parte di questa intervista ci ha raccontato quella parte della sua storia che l'ha spinta a dare vita a Donnalab e a impegnarsi per il work-familylife balance. Proseguiamo dunque la chiacchierata con lei.






Che caratteristiche ha una azienda "women best friend"? Ce ne sono in Italia? e nel mondo? 
Le stiamo cercando!
Un’azienda women-friendly dovrebbe essere:
realmente meritocratica 
- con un’organizzazione del lavoro flessibile in termini spazio-temporali 
con possibilità di carriera non lineari 
con servizi di supporto alla genitorialità 
capace di gestire i periodi di maternità e paternità in modo strutturato e razionale
Aziende che si sono avvicinate con successo a questi temi in Italia sono, ad esempio, Luxottica, Nestlé, Microsoft.


Nuria Chinchilla, professoressa dello IESE di Barcellona, recentemente intervenuta a Milano nell'ambito del congresso svoltosi in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, insieme a numerosi studi sul work-family life balance, ha promosso un concorso per individuare l'azienda europea che facilita maggiormente l'equilibrio tra vita di famiglia e vita professionale.   Pensi che attività come questa siano d'aiuto?
Certamente! Conosco il lavoro della Chinchilla, opinion leader in materia di work life balance, e sono convinta che pubblicizzare le best practices abbia il duplice beneficio di fungere da ispirazione per alcune aziende e da stimolo competitivo per altre.
Oltre alla Chinchilla, trovo estremamente interessante il lavoro di Avivah Wittenberg Cox, l’inventrice della womenomics.

Come esergo al suo libro, che non mi risulta tradotto in italiano dall'orginale spagnolo  L'ambicion feminina, Nuria Chinchilla ha posto questa frase "la donna che vuole assomigliare ad un uomo manca di ambizione": secondo te è vero?
Mi hai strappato un sorriso. Quello che penso però, seriamente, è che la vita delle donne oggi sia realmente molto più complicata di quella di un uomo…

Equilibrare vita professionale e vita di famiglia è davvero possibile? Come? Anche sognando come sarebbe il mondo ideale per permettere questa conciliazione?
Se immaginiamo un mondo ideale, per avere un miglior equilibrio vita-lavoro serve un cambio nella cultura aziendale, più servizi, ma soprattutto è importante affrontare il nodo della condivisione delle responsabilità familiari. Scardinando il concetto che la cura della famiglia sia compito esclusivo della donna. E quindi ben venga qualunque esperimento sul congedo di paternità obbligatorio, un provvedimento simbolico ma di sicuro impatto.

Che cosa gli uomini dovrebbero cambiare assolutamente nel modo di affrontare la questione? Che cosa rimproveri loro?
Molti uomini in realtà non affrontano affatto la questione. Pensano, più o meno in  buona fede, che sotto sotto alle donne non interessi veramente la carriera e che appena potranno si chiameranno fuori per dedicarsi alla  famiglia. Vivono in pratica tutto quello di cui abbiamo parlato fino ad ora come un “non problema”.

E che cosa le donne dovrebbero cambiare assolutamente nel modo di affrontare la questione? Che cosa rimproveri loro?
Le donne devono “crederci” e non iniziare a “rallentare” o porsi limiti nel loro sviluppo di carriera pensando che tanto comunque alla fine verranno fatte fuori: “don’t leave before you leave” diceva Sheryl Sandberg, la COO di Facebook, nel suo famoso TED Talk.


Come può la scuola aiutare le bambine e le ragazze a sviluppare il sano senso di orgoglio per la propria femminilità, intesa come qualità specifiche della donna, e valorizzarle al meglio? E la famiglia? Che cosa dovrebbe fare?
Trovo che sia a scuola che in famiglia bisogna stare attentissimi a non rafforzare gli stereotipi inducendo divisioni e differenze che i bambini piccoli non sentono. Quante volte vediamo genitori che prendono in giro o scoraggiano un bimbo se gioca con le bambole insieme alla sua amica? Oppure rimproverano il bambino pauroso o insicuro dicendogli di non fare la “femminuccia”?
Molti anni sono passati dal libro della Bellotti “Dalla parte delle bambine” e trovo che oggi bisogna stare attenti soprattutto al condizionamento che si esercita sui maschietti ed evitare  che già in età prescolare si gettino le basi per una separazione artificiale.

In che modo la rete può aiutare a costruire la consapevolezza su questa differenza che deve essere il presupposto per pari dignità e valorizzazione delle peculiarità?
La rete è un amplificatrice del dibattito sull’importanza di accrescere la presenza delle donne nel mondo del lavoro di cui io sono, insieme a tanti altri, appassionata partecipante.

Hillary Clinton si batte da tempo per sostenere l'importanza delle scuole single sex come strumento per il rafforzamento dell'indennità femminile e per offrire maggiori opportunità alle ragazze. I risultati negli USA hanno dimostrato che nelle minoranze e nelle zone a rischio questa soluzione ha permesso a molte ragazze di ottenere risultati straordinari e accedere a college prestigiosi: l'intervento della Clinton è stato decisivo in questo. Che cosa ne pensa?
Ho assistito recentemente alla presentazione di una ricerca in Bocconi che discuteva la stessa tesi. Si dimostrava che nelle classi esclusivamente femminili la percentuale di studentesse che sceglie materie scientifiche è molto superiore a quella delle classi miste, e tale differenza sembrerebbe imputabile ad un inconscio condizionamento che le studentesse delle classi miste subiscono verso la scelta di materie più tradizionalmente “femminili”. E’ uno spunto di riflessone interessante, però allo stesso tempo penso che nell’età formativa sia importante imparare a relazionarsi con occhi curiosi e aperti a tutte le diversità. 

Come vedi il futuro del nostro paese da qui a 5 anni sul tema donne e lavoro?
La mia visione a 5 anni del nostro paese è per principio e per mia filosofia di vita positiva!
Siamo in un momento di grande cambiamento, il dibattito e la spinta sull’importanza di valorizzare la presenza delle donne nell’economia è quanto mai attuale.
Quindi ci sono le premesse per realizzare da qui a 5 anni un paese migliore.
Con alcune aree di attenzione:
- Non sprechiamo l’occasione della legge sulle quote di genere. Aziende: utilizzate davvero il criterio meritocratico e scegliete donne nuove e con le competenze giuste. Ce ne sono molte, come dimostrano le liste di nomi eccellenti promosse da diverse associazioni femminili, ad esempio PWA e la lista Ready For Board. Non utilizzate sotterfugi solo per riempire la casella “donne” nominando delle innocue “presta faccia”, datevi una chance per sperimentare un possibile miglioramento della governance dei vostri board.
- Uomini: senza di voi nessun cambiamento è possibile. Se siete padri avete la possibilità di ritagliarvi un ruolo nuovo nella famiglia e forse negli anni vedremo l’impatto positivo di questo modello sulla personalità degli uomini e delle donne di domani.
- Donne: non rinunciate in partenza. C’è bisogno di nuovi role models, noi possiamo esserlo per le nostre figlie o per le giovani donne che entrano nel mondo del lavoro. E voi, donne che siete già al top, sta a voi sostenere e spianare la strada per quelle che verranno.