mercoledì 11 dicembre 2013

L'importanza di conoscere il primo soccorso

Spulciando il sabato mattina tra le riviste in casa, abbiamo trovato un articolo su Vanity Fair, molto interessante e che tocca un tema delicato che troppo poco spessi si sente in giro . In un'intervista di Iree Soave, Paoletta di Radio Italia ci spiega come mai sia importante conoscere le manovre di primo soccorso in caso di soffocamento dei bambini. Ci racconta la sua esperienza e cosa sta facendo per aiutare gli altri genitori come lei.
manovra heimlich
«Pensi che imparare le manovre non serva, che nel panico non le ricorderesti. E invece è lì che sei più lucida. E conti: cinque colpi alla schiena, cinque allo stomaco, di nuovo schiena, e ancora stomaco. Sperando che tuo figlio sputi quel boccone che lo strozza. E alla fine lo sputa». A Paoletta, 44 anni, storica dj di Radio Italia, e al suo Samuele, 2 anni, è andata bene.
Un bimbo a settimana, invece, soffoca per un boccone o un piccolo oggetto inghiottito per sbaglio: la prima causa di morte improvvisa tra i bambini italiani. «Perché nessuno sa come soccorrerli», continua Paoletta. Che grazie a una sola lezione di pronto soccorso pediatrico, seguita per caso, ha evitato il peggio, e ora ha lanciato una petizione (su paolettablog.com«per chiedere che il governo inserisca queste lezioni nelle materne e nei corsi preparto». 
Servono davvero?
«Eccome. Basta un’ora a memorizzare le manovre che servono. Non solo quelle anti-ostruzione: anche il massaggio cardiaco. Ogni anno muoiono 700 bambini per arresto cardiaco, saperli rianimare ne salva il 50%».
A lei che cosa è successo?
«Era agosto, con Samuele giocavamo al guidatore: auto spenta, lui al volante, io dietro. Apre la mia borsa e prende un biscottino. Se lo mette in bocca. E subito strabuzza gli occhi, cerca l’aria. Non dimenticherò quell’espressione. Mi fondo davanti, in lacrime. Agisco col pilota automatico: aferro la mandibola, lo giro e inizio a colpirgli la schiena. Eseguo le manovre per 40 secondi e lui, fnalmente, sputa». 
Il corso quando l’aveva seguito?
«A febbraio, controvoglia. Mi dicevo: inutile, me ne dimenticherò subito. E invece 6 mesi dopo sapevo ancora tutto. Per questo lo Stato ci deve obbligare a farli. È così facile salvare una vita: se sai muoverti il panico non vince».
Che reazioni ha avuto, alla petizione?
«Mi hanno scritto in tanti con la mia stessa esperienza, ma è solo l’inizio: finora ho raccolto 600 firme, ne vorrei 10 mila».

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