di Valentina Santarpia, da corriere.it
Portare Facebook
e Twitter a scuola significa avere una classe di ragazzi e ragazze distratti
dai propri smartphone? Niente affatto, perché social network non va confuso con
socializzazione, e esistono almeno dodici modi giusti che i docenti possono
adottare per usare in maniera proficua le piattaforme digitali in classe.
E’
questa la tesi sostenuta su Edutopia, un sito Usa dedicato
all’educazione, da Vicky Davis, un’insegnante americana esperta di nuove
tecnologie. Il decalogo della Davis, tra il serio e il faceto, stimola i
docenti a «ricordare che siamo nel 21° secolo» e che è inutile continuare a
predicare che è necessario aiutare i bambini a superare il gap digitale, se poi
gli insegnanti non sono i primi ad essere disposti a comunicare online. «I
social media sono qui, sono solo un’altra risorsa e non una distrazione dalle
materie di insegnamento», spiega la curatrice dell’articolo, snocciolando
consigli. Qualche esempio? «Twitta o posta degli interventi a nome della
classe», oppure «Usa i social network per connetterti alle altre classi», o
ancora «Crea un account twitter per un progetto speciale», o «Usa Youtube per
pubblicare una presentazione o un’esibizione dei tuoi studenti». Tutti esempi
validi per la scuola statunitense, che è all’avanguardia nell’uso del digitale.
Ma in Italia, a che punto siamo? Secondo il decimo rapporto Censis/Ucsi sulla
comunicazione, il 90,3% dei giovani a partire dai 14 anni utilizza Facebook e
il 54,8% possiede uno smartphone. Eppure, da uno studio realizzato dalla rete
dell’istruzione europea, Eurydice, l’Italia è uno dei pochi Paesi che non ha
previsto alcuna forma di insegnamento relativo all’educazione digitale a
livello di scuola primaria e secondaria.
Un gap che
potrebbe essere risolto a breve: è stata appena depositata una proposta di
legge che punta proprio a
introdurre nelle nostre scuole «l’insegnamento di educazione e cittadinanza
digitale», con tanto di individuazione di un «docente educatore digitale»
individuato nell’ambito del collegio dei docenti, che collabori con tutti gli
altri insegnanti a realizzare progetti digitali nell’ambito delle proprie
materie. Una sorta di tutor, che stimola gli altri docenti meno preparati o
motivati nel settore informatico a usare gli strumenti tecnologici moderni per
arricchire e integrare i propri insegnamenti, rendendoli più adeguati al mondo
moderno.
La legge
dovrebbe servire a dare un approccio digitale nazionale ad un Paese come il
nostro che invece, sul digitale, viaggia «a due velocità», come spiega Caterina
Policaro, insegnante in un istituto tecnico agricolo di Potenza ma soprattutto formatrice di docenti sul fronte digitale e attivissima
blogger. «Ci sono scuole attrezzatissime, che usano Facebook, molto
meno Twitter, per affiancare i siti istituzionali e presentare le iniziative
della scuola, per fare orientamento, per condividere le esperienze. Poi ci sono
le scuole dove, grazie a docenti illuminati, si usano social network chiusi,
come Edmodo,
oppure Moodle, per fare esperienza didattica: in questo caso si riesce a
diversificare la lezione usano il social come piattaforma virtuale dove
insegnanti e studenti lavorano insieme a progetti e si scambiano in tempo reale
pareri e informazioni. Ma poi ci sono anche le scuole assolutamente legate alla
burocrazia, ai vecchi modelli tradizionali, dove il digitale è visto come un
mondo lontano e complesso». La solita Italia spaccata in due, insomma, dove
però stavolta non è la linea geografica a segnare il confine, ma la volontà e
la preparazione culturale dei presidi e dei docenti.
«Negli ultimi
due anni la situazione sta migliorando, grazie anche alle novità introdotte
sulla possibilità di adottare i libri digitali, ma soprattutto perché i social
network stanno diventando parte della vita di tutti noi: gli insegnanti
finalmente stanno passando dal punto di vista dell’osservatore- di abitudini
giovanili- a quello dell’utilizzatore- di uno strumento che può aiutare la
condivisione col resto del mondo». Certo, quando un prof vede arrivare sulla
propria pagina Facebook la richiesta di amicizia di uno studente o una
studentessa, può trovarsi in imbarazzo: «Non è questione di vietare o non
vietare relazioni di amicizia su Facebook tra docenti e alunni- spiega
Policaro- E’ questione di capire come dovrebbero rapportarsi i docenti in una
relazione in primis sociale, poi didattica, che include, a qualunque livello,
anche i social network e quindi l’interazione online attraverso mail, chat,
social network ecc. Io sono dell’idea che un docente debba operare sempre
secondo ben precisi standard comportamentali e presentarsi quindi sempre
all’esterno come professionista dell’educazione e quindi modello per i ragazzi.
Aggiungo: ed essere sempre se stesso. In classe, come online».
Quando comincia
l’uso dei social network a scuola?
L’utilizzo più massiccio riguarda le scuole
superiori: anche se a volte si comincia un po’ prima dei tredici anni, mentendo
sull’età, sono i ragazzi tra i 13 e i 18 anni i maggiori utilizzatori, e quindi
le scuole superiori quelle dove si svolgono gli esperimenti più interessanti e
avanzati.
Di fronte a tanta vitalità, però, ci
sono ancora tantissimi punti deboli: «I social potrebbero essere usati molto
meglio- spiega Elena Pacetti, ricercatrice in Didattica e Pedagogia speciale
del Dipartimento di Scienze dell’Educazione Università di Bologna- Negli altri
Paesi ci sono molte altre esperienze, abbiamo ancora tanti margini di
miglioramento per mettere in comune le nostre conoscenze e uscire dalla logica
della scuola tradizionale. I nodi critici? L’alfabetizzazione degli insegnanti,
che dovrebbero essere istruiti per capire limiti e potenzialità dei mezzi. E
poi il fattore tempo, che spesso frena il cambiamento: come ho scritto in diverse ricerche, per poter
far crescere l’uso dei social a scuola, i docenti devono dedicarvi tempo, non
possono liquidarli sostenendo che non fa parte dei loro compiti. Al giorno
d’oggi, i ragazzi sono sempre connessi, i social network fanno parte della
propria quotidianità, ed essere on line come educatori fa la differenza».
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