martedì 23 settembre 2014

"Leggere i media". Intervista a Raffaele Chiarulli e Eleonora Fornasari



Quali sono i nuovi media? Perchè sono importanti? In che modo influenzano i giovani al giorno d'oggi? L'abbiamo chiesto a Raffaele Chiarulli e a Eleonora Fornasari  in questa intervista esclusiva per FaesBook.

Che cosa vuol dire “leggere i media”?

Leggere i media vuol dire imparare a decifrare i veri messaggi che la televisione, internet, la carta stampata e tutti i nuovi media passano attraverso i contenuti che ci propongono. Un esempio: quando nel 1990 Beverly Hills 90210 approda sui piccoli schermi americani, l’enfasi sui buoni sentimenti e il trattare temi importanti e attuali, come per esempio l’AIDS, fanno ottenere alla serie premi e riconoscimenti come programma educativo. Il problema è che un programma televisivo, soprattutto una fiction di successo qual è stata Beverly Hills, “educa” (nel bene e nel male) sempre. Mentre racconta, cioè, prendendo le parti di questo o quel personaggio, “passa” al pubblico una visione, un pensiero, uno stile di vita. Non sempre questo è un bene. Dipende da cosa racconta e soprattutto da come lo racconta.
Per ragazzi giovani e alla ricerca di certezze e modelli, la televisione spesso sostituisce le figure adulte di educatori come punto di riferimento, soprattutto rispetto a temi che con i genitori si affrontano poco. Per esempio, sul tema del rapporto tra ragazzi e ragazze, Beverly Hills ha delineato uno schema valido per tutti i successivi teen drama (per teen drama intendiamo le serie televisive dirette espressamente al pubblico degli adolescenti e che hanno gli adolescenti come protagonisti): l’unica preoccupazione in Beverly Hills era passare l’idea che il sesso andasse fatto “protetto”, senza che ci fosse mai spazio per voci e posizioni diverse. Ecco allora che “educare” non basta. Dipende in che modo si educa e a quali visioni del mondo. “Leggere” i media, pertanto, significa non essere passivi rispetto ai contenuti ma essere spettatori critici perché consapevoli.

Quando si dice ‘media’ oggi che cosa s’intende? Quali sono i media del 2014?

Il discorso sarebbe lungo e complesso ma cerchiamo di essere sintetici. Innanzitutto bisogna distinguere tra supporti e contenuti. Quando si pensa alla comunicazione di questi anni, vengono in mente soprattutto i Social Media e tutti i dispositivi tecnologici che in tempi rapidissimi hanno cambiato profondamente le nostre abitudini. I media come dispositivi sono diffusi ormai in qualunque “dieta” della vita quotidiana e la loro presenza si è, per così dire, naturalizzata. Tablet, palmari, smartphone, sono nelle tasche di chiunque e vengono usati in modi e momenti fino a pochi anni fa impensabili. A Milano con un’applicazione dello smartphone si sbloccano i veicoli usati per il car-sharing. Talvolta capita di vedere perfino in chiesa gente che armeggia con qualche aggeggio tecnologico. La vecchina del banco di dietro, naturalmente, guarda storto ma a volte il trentenne sta semplicemente seguendo la liturgia nelle chiese dove non ci sono i foglietti. È un esempio estremo ma serve a farsi un’idea.
Dire ‘media’ oggi significa anche e soprattutto dire “internet” e “social network”. Adolescenti e giovani passano ormai molto più tempo on line che non con i media tradizionali ma qui bisogna fare un distinguo. Molte persone sono “connesse” ma di fatto su internet ascoltano la radio, guardano la tv, leggono i giornali, scaricano film e serie televisive. Anche su Facebook, o su altri network analoghi, spesso ci si scambia canzoni, tavole di fumetti, sequenze di film o di telefilm prelevate da youtube, articoli tratti dai siti dei quotidiani, ecc. I supporti, quindi, diventano via via più sofisticati ma i contenuti spessissimo sono gli stessi di sempre. I sociologi della comunicazione cavillano sul confine che separa l’essere utenti dall’essere spettatori ma in gioco, da sempre, c’è la responsabilità di ciò che si comunica e di come lo si comunica. È qui, partendo dalle radici degli atti comunicativi, che è stato pensato il nostro modulo per le scuole.


Perché è importante oggi saperli leggere?

I media, per la loro stessa struttura comunicativa, modificano profondamente la nostra percezione della realtà e della cultura e nel caso di un pubblico giovane l’influenza è ancora più evidente. Per questo imparare a leggerli diventa di fondamentale importanza. Conoscere le logiche che sottostanno alla creazione dei prodotti culturali, che sono sempre la visione e il punto di vista parziale dei loro autori, può aiutare i ragazzi a non assorbire acriticamente tutto quello che vedono, ma a prenderne le distanze e a contrastarlo con le proprie idee, dove necessario.
La comunicazione è ormai talmente invasiva che un’alfabetizzazione a riguardo è necessaria. È utile avere delle armi di disinnesco, in presenza di comunicazioni volte a tendere dei tranelli (per esempio film che veicolano visioni del mondo negative o ideologiche), o – senza per forza evocare scenari così foschi – è utile semplicemente conoscere le regole di una comunicazione sana per avere relazioni sane con gli altri individui. La natura relazionale di internet, in cui ognuno è autore e lettore di messaggi che circolano continuamente, è sotto questo aspetto un forte richiamo.

In che modo i media influenzano la nostra vita?

Premettendo che, naturalmente, esiste anche un aspetto virtuoso della comunicazione, che funziona secondo logiche simili, notiamo qui che tutti noi quotidianamente siamo bombardati – attraverso i media – da contenuti-spazzatura, stereotipi consolidati, inviti al disimpegno e all’omologazione, distorsioni o visioni parziali della realtà fatte passare come universalmente condivise. Districarsi in questo influsso contenutistico, per trovare ciò che c’è di vero e di bello, è difficile per un adulto. Figuriamoci per un ragazzo. Sempre più spesso accade che i ragazzi, proprio in un’età delicata come la loro in cui il pensiero e la visione sul mondo sono ancora in formazione, fruiscano di programmi ad alto contenuto diseducativo, non pensati per loro, ma per un pubblico già adulto e (forse) più consapevole. Occorre allenare sempre di più questa consapevolezza. L’influenza dei personaggi della televisione sullo sviluppo di adolescenti e preadolescenti è stata molto trascurata nella letteratura passata: fino a cento anni fa le figure che potevano esercitare un’influenza sulla socializzazione e sullo sviluppo dei ragazzi erano ristrette a genitori, parenti, amici e insegnanti. Nel periodo successivo questo dato è stato stravolto dall’avvento dei mass media.
Oggi i giovani sono esposti continuamente a una massiccia quantità di figure, spesso provenienti proprio dal mondo televisivo, capaci di influire e modificare i loro schemi di comportamento, le loro convinzioni e opinioni. Per esempio, per i padroni dei media, l’obiettivo principale spesso è vendere e gli utenti vengono trattati, in quest’ottica, come consumatori. In questa visione, bambini e ragazzi sono la categoria sociale maggiormente presa di mira, perché più sensibili e plasmati dalle mode consumistiche. Con la nascita di serie indirizzate esclusivamente a loro, i giovani diventano un nuovo target da colpire e per cui creare specifici prodotti di consumo. Non è un caso che i teen drama siano terreni di coltura di tendenze e mode: abbigliamento, trucco, rituali, tutto diventa “icona”, cioè modello per milioni di giovani telespettatori, nonché consumatori. Imparare a riconoscere questo tipo di influenza dei media, può aiutare certo a essere più consapevoli e quindi liberi.


Che consigli potete dare per imparare a leggere… tra le righe?

E. Fornasari: Il consiglio che do ai ragazzi, soprattutto per quanto riguarda le serie tv a loro dedicate, è di chiedersi sempre: quanto di me c’è nella storia? Le vite dei personaggi mi rispecchiano davvero? Il mondo è davvero così come viene raffigurato in queste serie? Non bisogna mai dimenticarsi, infatti, che i teen drama, i telefilm per adolescenti, sono sempre e comunque pensati da autori adulti. Il mondo che questi raffigurano spesso non corrisponde alla realtà che vivono gli adolescenti. In molti teen drama, per esempio, la grande assente è la scuola, che invece occupa la maggior parte della giornata di ogni ragazzo. Molta più attenzione è concessa ad altri temi, come il sesso, che diventa una vera e propria ossessione dei protagonisti di queste serie. Lo sforzo da compiere, di fronte a qualsiasi medium, è interrogarsi sempre sui contenuti che ci vengono passati. L’affezione per un personaggio, la risposta emotiva a una storia, spesso producono un effetto di assuefazione rispetto ai contenuti e ai valori veicolati.

R. Chiarulli: Io suggerisco sempre di non accontentarsi mai della prima lettura, di quella più superficiale. Dietro la sceneggiatura di un film (parlando invece di cinema e soprattutto di quello americano, che i ragazzi guardano più di altri), c’è un lavoro di limatura e perfezionamento che dura anni e che coinvolge tante persone. Il risultato di questa sedimentazione di esperienze e idee è talmente perfetto che spesso anche gli spettatori più esperti faticano a cogliere il cuore di un film a una prima visione. I film belli andrebbero visti più volte, esplorati. L’immediatezza del linguaggio audiovisivo fa dimenticare che ogni ritorno sul luogo del delitto porta alla luce nuove tracce.
Faccio un esempio: quest’anno ho fatto vedere Gravity in due scuole. Quasi tutti i ragazzi hanno letto il film come un thriller spaziale pieno di effetti speciali ma vuoto di anima. Ripercorrendo la trama, invece, ho mostrato loro come il film celebrasse la rinascita del senso religioso nell’uomo moderno che ha perso il centro di gravità. Erano sorpresi da questa lettura e interessati ad andare a fondo delle storie che avrebbero guardato da lì in poi.

Di quali argomenti trattate nel corso per le scuole Faes?
E. Fornasari: Il modulo sulla televisione, si concentra sulla visione e l’analisi di alcune tra le serie tv più attuali, con un’attenzione critica particolare al genere del teen drama, da molti definito il “romanzo di formazione” per adolescenti dell’epoca moderna, con tutto quello che tale definizione comporta. Attraverso l’analisi dei personaggi e delle trame, i ragazzi sono guidati a individuare gli elementi narrativi e testuali, utili a decodificare il mondo narrativo di riferimento. Dopo la fase di analisi, chiedo ai ragazzi di mettersi in gioco e di dare spazio alla loro creatività, servendosi di tutti i mezzi che hanno imparato a conoscere attraverso le lezioni teoriche. In gruppi, i ragazzi elaborano quindi una loro idea di racconto seriale da sviluppare in termini di personaggi, temi, ambienti e linee narrative: la cosiddetta “bibbia di serie”, che viene poi presentata davanti a tutta la classe.
R. Chiarulli: Alla Monforte abbiamo guardato insieme la trilogia di Ritorno al futuro, un classico intramontabile. Abbiamo lavorato insieme sulla crescita del personaggio, dall’inizio della saga fino alla sua conclusione, e sullo sviluppo del tema del film. Ho sfidato le ragazze a considerare come il primo episodio della trilogia sia un racconto di formazione in cui il protagonista adolescente impara progressivamente a guardare la propria famiglia con uno sguardo più adulto. Il salto nel tempo è una metafora del salto generazionale che siamo chiamati a compiere quando finisce l’età della spensieratezza. Contestualmente all’analisi del film, abbiamo ragionato sulla funzione dei generi del cinema classico, su come la fantascienza e il fantasy ricoprano il ruolo che avevano in passato il mito e la fiaba. Abbiamo approfittato per raccontare aneddoti e toglierci qualche curiosità su come funziona il mondo del cinema.
All’Argonne abbiamo analizzato due figure di eroe, in Batman Begins e in Argo. Due film diversissimi: il primo è un cinecomic, un film d’avventura tratto da un fumetto; il secondo è il resoconto un po’ romanzato ma nel complesso veritiero di una rischiosissima operazione segreta fatta dalla CIA nella Teheran della crisi del 1979. In entrambi i casi, il protagonista è chiamato a compiere delle scelte rischiose: c’è in ballo l’uso della responsabilità personale.

Qual è la risposta dei ragazzi? A che cosa sono più interessati?

E. Fornasari: La risposta dei ragazzi è stata attiva, positiva e propositiva. Non sono d’accordo con chi dice che i ragazzi, a priori, assorbano acriticamente qualsiasi cosa venga loro proposta. S’interrogano invece con curiosità e se opportunamente stimolati, elaborano pensieri e riflessioni tutt’altro che banali. I ragazzi sono interessati a parlare di ciò che è attuale, di ciò che li riguarda da vicino e in questo le serie tv, con la grande quantità di temi e di spunti che offrono, aiutano di certo la discussione. Per venire incontro ai diversi gusti di maschi e femmine ho scelto serie televisive diverse: più romance e musical per le ragazze, più action e mystery per i ragazzi. Per entrambi ho mantenuto il fantasy, genere esploso negli ultimi anni all’interno del teen drama, come potente metafora dell’adolescenza. Attraverso la figura del supereroe che impara a conoscere e a governare i propri poteri, queste serie ci parlano spesso di come sia importante capire la propria “vocazione”, la propria strada, di come sia necessario riconoscere e accettare i propri talenti, per coltivarli e diventare veramente grandi.

R. Chiarulli: Molto positiva. Alla Monforte abbiamo avuto anche più tempo per conoscerci e creare il giusto clima di fiducia reciproca. C’è stato anche un fuoriprogramma, in una mattina in cui metà della classe era fuori per un’altra attività: abbiamo sospeso il programma per un’ora e, nell’attesa che arrivassero le compagne, le ragazze mi hanno chiesto di parlare della Grande bellezza. Alcune di loro l’avevano visto in televisione e non si erano capacitate dei premi, del clamore. Abbiamo ragionato insieme su cosa fosse quel film, cosa rappresentasse e perché, di fronte agli osanna, piacesse così poco al pubblico. Ho trovato le ragazze molto attente, curiose, protese a capire e a farsi domande.
All’Argonne abbiamo avuto meno tempo per rompere il ghiaccio e qui la collaborazione dei docenti è stata essenziale. Con il professor Bramati abbiamo mostrato ai ragazzi come i racconti cinematografici obbediscano alle stesse regole narrative della letteratura, dei fumetti, della musica... e, quindi, che i mondi del sapere che stanno conoscendo a scuola, in maniera che può sembrar loro frammentaria, sono invece collegati. I feedback dai maschi sono stati meno evidenti ma quando i ragazzi ascoltano in silenzio è un buon segno.

Che bilancio potete far sin qui di questa esperienza con i licei Faes?

E. Fornasari: La mia esperienza è stata fin qui molto positiva. Nella seconda liceo Monforte una delle ragazze ha anche partecipato via web a un paio di puntate della social tv legata al programma per ragazzi di cui sono autrice per Rai Gulp, La tv ribelle. Purtroppo quando è stato il turno dei ragazzi, la trasmissione era già finita, ma sono certa che non avrebbero esitato ad accogliere favorevolmente il mio invito a partecipare. Il messaggio da passare infatti non è quello che la tv sia solo una cattiva maestra. La tv, come ogni mezzo, ha grandi potenzialità espressive. Invitare i ragazzi a “farla”, a prenderne parte può essere un modo, per loro, di sperimentare che la tv può essere anche strumento di approfondimento e riflessione su temi che li riguardano da vicino.

R. Chiarulli: Assolutamente positivo. Ciò che ci preme sottolineare è che questo corso è un esperimento in fieri e siamo contenti di avere riscontri dai ragazzi, dagli insegnanti e dalle famiglie per adattarci sempre meglio, insieme ai tempi che corrono e che cambiano, alle esigenze della scuola. Vorrei concludere ringraziando la dottoressa Chiara Toffoletto, che fino all’anno scorso ha guidato il nostro team e che quest’anno per motivi professionali ha dovuto cedere il testimone, e la dottoressa Maria Chiara De Leonardis, che due anni fa condusse un mini-corso di etica della comunicazione con le ragazze del triennio. 





Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.