Quando l’intelligenza si fa teatro… Come coinvolgere sempre
più per trasmettere elementi chiave della relazione, dell’educazione, della
vita in ultima analisi in modo brillante? Marco Scarmagni c’è riuscito e ha
messo in scena l’amore coniugale, la differenza tra i sessi, la bella fatica
della relazione. Marco, veronese, classe 1971, sposato alla tenera età di 24
anni, tre figli e alcune esperienze di affidamento familiare è innanzitutto
giornalista per l’Editore Sempre della Comunità Papa Giovanni XXIII della quale
dal 1991 è membro e per la quale dal 2013 è il delegato al Forum delle
Associazioni Familiari. È laureato in Scienze dell’Educazione (Tesi: Maschile e
femminile negli studi di gender, una lettura sociologica) e baccalaureato in
Psicologia dell’Educazione (Tesi: Psicologia della Personalità e differenze di
genere). E ha uno studio di Mediazione e Consulenza Familiare a Legnago (VR).
Ma soprattutto è formattore (con due t)
e autore di alcuni spettacoli e attività interattive di grande valore.
Ecco
come si racconta
Qual è la tua mission
personale?
Personale? Essere un marito, un padre, un professionista
“sufficientemente buono” tanto per
citare Winnicott. La mission del mio studio
di consulenza familiare me l’ha spiegata un bambino di nove anni che ad un
incontro in una scuola è intervenuto dicendo “Il consulente familiare consola le famiglie: consulente- consola, si
capisce”. Se invece ti riferisci alla mission delle attività di formazione,
è quella di dare sostegno ed empowerment alle famiglie tradizionali
(eterosessuali, monogame, stabili, tanto per capirci), rivolgendomi in
particolare alla coppia. Mi piace proporre in maniera laica, talvolta ironica e
scanzonata, i temi cari alla visione antropologica cristiana. Da quando ho
sposato una donna mi intriga molto approfondire la differenza e la dinamica
relazionale tra uomo e donna.
Ma uomini e donne sono
davvero diversi?
Certo! Anche quando sono vestiti uguali e fanno le stesse
cose. I cervelli di uomini e donne cominciano a differenziarsi già dall’ottava
settimana dopo il concepimento. È un fatto che mi suscita stupore e al quale ho
dedicato due tesi. La diversità – o meglio la differenza – è un dato
ineliminabile della natura umana, ciò che rende la persona biologicamente e
psichicamente feconda. Ogni tentativo di negare questa realtà è un esercizio
inutile prima che dannoso. Dovremmo casomai sviluppare l’integrazione, la
complementarietà, la dialettica, la parità, non l’uguaglianza.
Lo si può affermare o
è politically uncorrect?
Non importa. Lo si “deve” affermare, perché è necessario
ravvivare ciò che uomini e donne sentono nel profondo del loro essere. La correttezza politica va
e viene, la verità resta. E la verità è agganciata prima di tutto ad un dato
biologico, poi anche psicologico, culturale, e per chi vuole anche spirituale.
Come è nato Io Tarzan
tu Jane? Che cosa è concretamente? A che cosa serve?
Lavorando con coppie e famiglie mi trovavo a spiegare la
differenza tra uomini e donne ai fidanzati, agli sposi, agli uomini e donne che
incontravo, che in questo periodo storico sono confusi e hanno bisogno di
rassicurazioni. Ho pensato che raccontare le mie tesi poteva risultare
piuttosto noioso e allora – avendo un po’ di passione per il cinema – ho
cominciato a guardare e riguardare tutti i film chiedendomi cosa mi potevano
raccontare del maschile e del femminile. Ne è uscito “Io Tarzan, tu Jane”, un
format che porto in giro per l’Italia da qualche anno che non è altro che
presentare, in rapidissima successione e in dialogo con il pubblico, brevi
spezzoni di film che mostrano il maschile, il femminile, come uomini e donne si
rapportano, come si comportano i padri e le madri, come si litiga e si fa la
pace in maniera differente. È stato – ed è – un lavoro divertentissimo perché
mi accorgo poi che i registi, anche i produttori di cartoni, magari inconsapevolmente,
presentano uomini e donne secondo i più tradizionali stereotipi. E così c’è una
conferma: se fai uscire l’Uomo e la Donna e dalla porta ti rientrano dalla
finestra.
L’amore per sempre è
una illusione, una follia, una violenza o la sola possibilità? Perché?
Dipende da che cosa intendiamo per amore. Anche qui chiarire
non è facile, ma la tua domanda aiuta. Se per amore intendiamo “piacersi”,
allora è ovvio che piacersi sempre e per sempre è una pia illusione. Se per
amore intendiamo “sentimento”, tenere un sentimento costante è una follia e
porta al paradosso (mi costringo a “sentire”). Se per amore intendiamo
“passione” – magari soprattutto passione di tipo sessuale – se non è regolata
può diventare una violenza, fisica o psicologica non importa. Se per amore
intendiamo invece desiderare il maggior bene dell’altro e il bene della
relazione ecco che l’amore per sempre (ah, c’è anche un libro: “Per Sempre. Ingredienti
per vincere la sfida di una vita insieme” – se n’è parlato anche qui)
diventa una meta desiderabile, assolutamente integrata con un progetto di
crescita personale e di apertura alla vita. A scanso di equivoci va detto che
“piacersi”, “sentimento” e “passione” sono elementi che fanno parte della vita
di ogni coppia, sono belli e desiderabili, ma l’esercizio continuo è di non
considerarli la base ma un ornamento, un condimento. Sono come gli ingredienti
della pizza. Facciamo pomodoro, mozzarella e olio per far calzare il paragone.
Senza di loro la pizza è solo un pezzo di pane tondo, ma nessun pizzaiolo si
sognerebbe di portarti su un piatto pomodoro, mozzarella e olio senza la base
dicendoti che quella è la pizza.
A proposito di cibo… Sono
cotto di te: che cosa è e come funziona?
“Sono
cotto di te” è un’esperienza, intensa, divertente e formativa. È un pranzo
I nuovi progetti per
il 2014?
Consolidare i format di cui abbiamo parlato, svilupparli e
diffonderli ulteriormente, perché mi piace continuare a modificarli anche con
le sollecitazioni che mi arrivano dalle persone che incontro. Poi ci sono
alcune nuove frontiere, tipo lavorare in maniera più approfondita sull’essenza dell’essere uomini e padri
Ho fatto delle esperienze molto positive recentemente, probabilmente è un
viaggio che sto facendo prima di tutto dentro di me.
La sofferenza fa parte della vita, di ogni vita. Ma se
parliamo di sofferenza coniugale allora cambierei la domanda: Perché non
riusciamo più a soffrire? A sopportare? Gli sfasci delle famiglie ce li abbiamo
davanti gli occhi e non è il momento di riparlarne. Ma pensa una cosa: rispetto
a chi sceglie di interrompere il proprio matrimonio (o anche di viverlo in
maniera depressa) siamo passati negli ultimi decenni dal disprezzo alla
compassione. Da “che scandalo” a “poverini”. Ritengo siano atteggiamenti
entrambi scorretti. Ma possibile che tutta sta gente si sia trovata a fianco
una persona insopportabile? Se guardiamo le singole situazioni è ovvio che
proviamo empatia, ma se allarghiamo lo sguardo e leggiamo – ad esempio qui
nella mia romantica Verona – che delle nuove coppie ormai saltano una su due…
insomma un po’ di riflessione è necessaria. Allora, capisco che sono troppo
semplicistico e l’argomento merita ben altri approfondimenti, però una cosa
posso dirtela: sento il bisogno di qualcuno capace di un atteggiamento
“paterno”. Un padre che noi uomini dobbiamo riscoprire, che sappia prendere
l’amico che ti viene a raccontare le sue pene coniugali e dirgli senza tanta
delicatezza: “Ragazzo, gira i tacchi, torna da tua moglie e prenditi le tue
responsabilità, combatti per quello che hai scelto”. Detto da uomo a uomo è
salutare. Facciamo la nostra parte;
l’empatia, la comprensione, lasciamola alle nostre mogli che sono ben
più dotate. Una donna si motiva se la capisci, se la ascolti; un uomo se gli
squadri la realtà e gli indichi una strada da percorrere, meglio se impervia,
faticosa, ma possibile. Si può dire “da sfiga a sfida”?
Tre consigli alle
famiglie per vivere in serenità, in speranza, in..sieme
Con il limite della sintesi, tre me ne chiedi e tre te ne
do:
Circondatevi di amici con i quali
condividere il cammino. L’amicizia rinforza la motivazione, aiuta a mettere
sullo sfondo alcuni problemi, amplia le opzioni di soluzione.
Ridimensionate la portata di ciò
che oggi viene definito “insopportabile”. E, se proprio è doloroso,
accoglietelo e attraversatelo. Non c’è altra via.
Ricercate tempi solo per la
coppia, sempre! Anche quando i bambini sono piccoli. I tempi di coppia non sono
i tempi di famiglia. Meno se ne hanno più difficili sono da trovare e
soprattutto da gustare.
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