lunedì 3 febbraio 2014

I nuovi giochi, che rendono uniti!!

«Ho vinto!». Un nuovo giro nella giostra, lo sguardo ammirato dei compagni di gioco: non importa cosa si conquista, quello che conta è il primo posto. Ogni giornata dei nostri figli è scandita da una piccola vittoria conquistata sul campo di gioco: un assaggio di quella competizione che scandirà la vita da adulti.  Adesso che l’infanzia appare come la parentesi più breve nella vita dell’uomo, con la fretta di diventare prima possibile adolescenti, il mondo dei giochi recupera quella dimensione serena di gruppo senza scopo di «lucro».
Non si vincono premi, nessuno è secondo, la vittoria appartiene alla squadra: al posto dei giochi competitivi, si stanno facendo strada i giochi cooperativi che insegnano a condividere gli obiettivi e a collaborare in vista di un successo comune. Da conquistare con generosità, abilità e strategie utili a tutti. In Woolfy, il nuovo gioco Djeco, il lupo è il nemico comune da battere: la favola dei tre porcellini è stata trasformata in un gioco di squadra in cui i giocatori devono costruire una casa di mattoni per mettere al sicuro i porcellini prima che il lupo li acchiappi. Lo stesso spirito anima «Little cooperation» (Djeco), dove sulla banchisa quattro pinguini cercano di tornare nel loro igloo mentre il ponte di ghiaccio è a rischio di crollo: i giocatori (da 3 a 6 anni) devono ingegnarsi per portarli a casa. Il corvo che minaccia la frutta appesa sugli alberi è il nemico contro il quale fare fronte comune nel «Frutteto» (Haba): i giocatori (3-6 anni) lanciano il dado e colgono il frutto indicato, ma se esce l’immagine del corvo, si perde il raccolto.

Il recupero dei giochi cooperativi appare come un ritorno a una dimensione «gentile» della vita: molti dei giochi tradizionali, come il girotondo, sono nati cooperativi, soprattutto quelli giocati dalle bambine. Secondo il pedagogo Ruth Dirx la competizione è subentrata nei giochi maschili per preparare i ragazzini ad un atteggiamento di attacco-difesa necessario in una cultura arrivista. Proprio sull’abbattimento delle barriere di genere (non solo maschio-femmina, ma anche culturali e sociali) si incentra Cuntala («raccontala», in siciliano, www.cuntala.com), il nuovo gioco creato da Barbara Imbergamo e sostenuto con un crowdfunding di 150 pesone che hanno contribuito a finanziare la stampa delle carte.
Da sempre attenta ai temi della multiculturalità, mamma di «una femmina e un maschio e direi così anche se la femmina non fosse la primogenita», Barbara Imbergamo ha deciso di creare un gioco che sovvertisse i luoghi comuni osservando i suoi figli. «Anche se cresciuti in una famiglia anticonformista, notavo molte categorie stereotipate nei loro discorsi». Le 44 carte del gioco, tradotte in più lingue e divise in quattro categorie (personaggi, oggetti, azioni e aggettivi), vengono distribuite tra i giocatori che partendo da una carta possono costruire la loro storia. I soggetti sono diversi da quelli dell’immaginario tipico dei bambini: non ci sono fate o ballerine, ma una sindachessa africana, una muratrice, un ostetrico o una famiglia arcobaleno. Sfogliando le carte successive si amplia il racconto: l’idea è di costruire una storia insieme, venendo a contatto indirettamente con situazioni inconsuete, ma senza premiare il racconto migliore.
Il piacere di giocare è forse l’elemento più importante che distingue i giochi cooperativi dai giochi competitivi e dalle gare. Lo conferma anche Sigrid Loos, formatrice e consulente della crescita, laureata in pedagogia a Dortmund e autrice del volume scritto con Rita Vittori «99 giochi è più cooperativi» (Notes), in cui nessuno vince, nessuno perde, nessuno viene escluso.
Da ipovedente ha vissuto personalmente il disagio di giocare in modo competitivo. «Per questo ho trasformato il gioco della sedia in modo che nessuno venga tagliato fuori: nel momento in cui uno perde la sua sedia, può appoggiarsi a quella di chi è ancora in gara, fino a creare un divertente mucchio finale». La sua esperienza è maturata durante un tirocinio in una chiesa valdese italiana, dove ha sviluppato i new games, i giochi «di fiducia» nati con il movimento pacifista anti Vietnam.
Osservatrice delle dinamiche ludiche, ha messo a fuoco il rischio della competizione: i bambini deboli che non riescono mai a vincere non vogliono più giocare, ma anche quelli che primeggiano entrano in un’ansia da prestazione che a volte sfocia nel rifiuto del gioco. «Il senso di tutto lo ha riassunto un bimbo di 8 anni che mi ha detto: “Nei giochi competitivi ci sfoghiamo, con quelli cooperativi ci divertiamo e facciamo la pace”». La collaborazione è l’anima anche dei «serious games», i nuovi videogiochi intelligenti.
Uno dei più apprezzati è «Come se» (Ticonblu), che simula la vita quotidiana così come viene percepita da chi è affetto da dislessia: in questo modo i bambini imparano a mettersi nei panni dei compagni dislessici e il game over rappresenta l’acquisizione di una conoscenza, non di un punteggio.


di Michela Proietti - corriere della sera. la ventisettesima ora - 11 Gennaio 2014

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