Se
vostro figlio è nato tra il 2007 e il 2009, è probabile che abbia già imparato
a destreggiarsi con l'iPad anche se non è ancora in grado di allacciarsi le
scarpe o di andare in bicicletta. È il destino dei bambini che sin dai primi mesi di
vita hanno a che fare con computer e apparecchi tecnologici prima di aver
imparato abilità utili nella vita di tutti i giorni.
Un fenomeno in
continua crescita quello dei “nativi digitali” (così vengono chiamati) a testimonianza del quale vorrei ripubblicare un
post tratto dal blog “La
prima volta” di Ilaria Mazzarotta.
La
scelta di ripubblicare questo articolo nasce dal senso stesso della rete e di
questo blog: suscitare discussioni e promuovere riflessioni. Per giungere
insieme a conclusioni che siano il più vicino possibile, umanamente possibile,
alla verità. Per questo ci teniamo a sottolineare come la riproposizione di post
provenienti da altri blog non implica, ripeto: non implica, approvare
incondizionatamente quanto viene scritto. È piuttosto strumento per alimentare
quella sana discussione che spesso nasce da una provocazione, altrettanto sana
si intende.
Ci
aspettiamo i vostri commenti per approfondire il tema che ovviamente vedrà
nuovi post nei prossimi giorni. Lascio ora la parola ad Ilaria:
“È chiaro: Tom(maso) è un nativo digitale. Lo
sarà senza che abbia scelto di esserlo perché cresce in un mondo in cui la
tecnologia ha raggiunto livelli avanzatissimi, e sarà sempre peggio (o
meglio?).
Le sue dita sull’iPad scorrono già a perfezione; il mio iPhone sparisce ogni due minuti, e casualmente è sempre in mano sua, vicino al suo orecchio, mentre dice “‘onto” per imitare il mio “Pronto!“; rubare il mouse del padre è il suo hobby preferito; e lo schermo del computer lo attira più del ciuccio.
Le sue dita sull’iPad scorrono già a perfezione; il mio iPhone sparisce ogni due minuti, e casualmente è sempre in mano sua, vicino al suo orecchio, mentre dice “‘onto” per imitare il mio “Pronto!“; rubare il mouse del padre è il suo hobby preferito; e lo schermo del computer lo attira più del ciuccio.
C’è
ancora oggi chi inorridisce e pensa che i bambini debbano preservare la
propria innocenza tecnologica fino a data da destinarsi, ma sono convinta che
non ci sia nulla di male.
Qualche tempo fa, quando la mia famiglia è stata protagonista di un servizio per le Invasioni Barbariche sulle famiglie digitali, sono stata a lungo in dubbio, avevo paura di aver fatto male a esporre mio figlio (poi esporre: lui si vede per pochi secondi rispetto ai quattro minuti e mezzo andati in onda). Poi, come giustamente mi ha fatto notare suo padre, e qualche nostro amico: Tommaso è nato in una famiglia che in, con, su, per, tra e fra la Rete ci vive e – come io un tempo, con un padre architetto, giravo nei cantieri polverosi e conoscevo operai simpatici – lui vedrà schermi accesi sul mondo, leggerà i libri solo sull’iPad e ascolterà la musica sparandola in tutta casa cliccando sul suo iPod (in realtà uno tutto suo ancora non ce l’ha, sia chiaro!).
Tutto questo per dire che i tempi cambiano e per quanto Tommaso ami giocare a palla o correre nel parco, la sua vita avrà a che fare con la tecnologia. E la tecnologia avrà (anzi, ha già) a che fare con lui.
Il primo esempio che mi passa per la mente sono le App per bambini: ogni giorno ne esce una nuova e io le scarico e le tengo da parte per quando saprà giocarci con me.
Perché la cosa importante è non lasciarli soli, i nostri figli. Che si tratti di vita reale o virtuale poco importa, l’unica cosa da fare è non perderli di vista e insegnargli a vivere.
Mio figlio è un nativo digitale, ma la sua vera fortuna è quella di avere dei genitori digitali.
E ciò non significa che siamo due fissati con la tecnologia, ma solo che sappiamo come funziona il web, cosa succede quando si va online e quali sono i rischi che si corrono.
E se la sera io e suo padre giochiamo a scarabeo online pur stando sullo stesso divano, non significa che ci siamo dimenticati il resto: come ci si sente quando si tolgono per la prima volta le ruotine alla bici; cosa vuol dire realizzare un veliero con i Lego; quanto sia divertente creare castelli di sabbia, e ancor più distruggerli.
Qualche tempo fa, quando la mia famiglia è stata protagonista di un servizio per le Invasioni Barbariche sulle famiglie digitali, sono stata a lungo in dubbio, avevo paura di aver fatto male a esporre mio figlio (poi esporre: lui si vede per pochi secondi rispetto ai quattro minuti e mezzo andati in onda). Poi, come giustamente mi ha fatto notare suo padre, e qualche nostro amico: Tommaso è nato in una famiglia che in, con, su, per, tra e fra la Rete ci vive e – come io un tempo, con un padre architetto, giravo nei cantieri polverosi e conoscevo operai simpatici – lui vedrà schermi accesi sul mondo, leggerà i libri solo sull’iPad e ascolterà la musica sparandola in tutta casa cliccando sul suo iPod (in realtà uno tutto suo ancora non ce l’ha, sia chiaro!).
Tutto questo per dire che i tempi cambiano e per quanto Tommaso ami giocare a palla o correre nel parco, la sua vita avrà a che fare con la tecnologia. E la tecnologia avrà (anzi, ha già) a che fare con lui.
Il primo esempio che mi passa per la mente sono le App per bambini: ogni giorno ne esce una nuova e io le scarico e le tengo da parte per quando saprà giocarci con me.
Perché la cosa importante è non lasciarli soli, i nostri figli. Che si tratti di vita reale o virtuale poco importa, l’unica cosa da fare è non perderli di vista e insegnargli a vivere.
Mio figlio è un nativo digitale, ma la sua vera fortuna è quella di avere dei genitori digitali.
E ciò non significa che siamo due fissati con la tecnologia, ma solo che sappiamo come funziona il web, cosa succede quando si va online e quali sono i rischi che si corrono.
E se la sera io e suo padre giochiamo a scarabeo online pur stando sullo stesso divano, non significa che ci siamo dimenticati il resto: come ci si sente quando si tolgono per la prima volta le ruotine alla bici; cosa vuol dire realizzare un veliero con i Lego; quanto sia divertente creare castelli di sabbia, e ancor più distruggerli.
Sono
una mamma digitale e ringrazio Skype per aver permesso ai miei, in quel di
Roma, di non perdere un istante della crescita di Tommaso; ma sono strafelice
all’idea che presto saranno a Milano, per sempre.
Se, da mamma digitale fulltime, posso dare un consiglio a chi digitale ancora non lo fosse, o magari rifiuta di esserlo, è quello di diventarlo, di imparare cosa accade davvero in rete, senza paure ma con grande curiosità: solo così i bambini digitali sapranno diventare adulti reali.”
Se, da mamma digitale fulltime, posso dare un consiglio a chi digitale ancora non lo fosse, o magari rifiuta di esserlo, è quello di diventarlo, di imparare cosa accade davvero in rete, senza paure ma con grande curiosità: solo così i bambini digitali sapranno diventare adulti reali.”
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