mercoledì 20 febbraio 2013

La crisi dell'università

Drastico calo delle immatricolazioni nelle università italiane, al punto che in un decennio è come se fosse scomparso un ateneo grande quanto la Statale di Milano: gli iscritti sono diminuiti del 17%, passando da 338mila a 280mila. Una crisi, quella del mondo accademico, che riflette perfettamente il momento che stanno vivendo i giovani italiani in questo momento storico.
Quali sono le ragioni di questa perdita? Basta il calo della natalità a spiegare la flessione? Oppure c'è di mezzo la crisi della famiglia? O quella del lavoro? Possiamo arrivare ad ipotizzare che sia un fenomeno di bamboccionismo o questa è una illazione priva di fondamento? In che modo il liceo aiuta a scegliere un percorso universitario: è una fonte di ispirazione o fa perdere la voglia di impegnarsi?
Tutte le scuole offrono medesime possibilità a tutti i loro alunni? In questo studio pubblicato da La Stampa e ripreso dal Politecnico di Torino si traccia una relazione tra scola superiore (omogenea) e iscrizioni all'Università: ci sarà una relazione anche in questo caso?

Su questa violenta emorragia conviene riflettere magari anche solo per convenire che, vista la situazione odierna, l'Università offre meno opportunità di una scuola tecnica per affrontare il mondo del lavoro.  A tal proposito, per indurre a ragionare e fornire qualche elemento interessante, ripubblichiamo un articolo tratto dal sito del Corriere della Sera del 31 gennaio 2013. 


Iscritti, laureati, dottorati, docenti, fondi, tutte «voci» con il segno meno: l'università italiana è in grande affanno. Lo denuncia il Cun (Consiglio universitario nazionale) in un documento rivolto all'attuale Governo e Parlamento, alle forze politiche impegnate nella competizione elettorale, «ma soprattutto a tutto il Paese». Il documento (Dichiarazione per l'università e la ricerca, le emergenze del sistema) sottolinea che dal 2009 il Fondo difinanziamento ordinario (Ffo) è sceso del 5% ogni anno. 

In dieci anni gli immatricolati sono scesi da 338.482 (2003-2004) a 280.144 (2011-2012), con un calo di 58.000 studenti (-17%).  Il calo delle immatricolazioni riguarda tutto il territorio e la gran parte degli atenei. Ai 19enni, il cui numero è rimasto stabile negli ultimi 5 anni, la laurea interessa sempre meno: le iscrizioni sono calate del 4% in tre anni: dal 51% nel 2007-2008 al 47% nel 2010-2011.

Il calo però non è ovunque uguale: «L'Italia è spaccata», dice il ministro dell'Università, Francesco Profumo, in un'intervista a Radio 24. «In due regioni - ha spiegato - Piemonte e Trentino, aumentano le immatricolazioni. Poi ci sono regioni come Liguria, Veneto, Valle d'Aosta, Friuli, Marche e Toscana che hanno ridotto le immatricolazioni ma meno della media nazionale. In altre arriviamo fino al 36% in meno. Il Paese è spaccato». «Le università - ha poi ricordato il ministro - dal 1989 sono istituzioni autonome e responsabili, il ministero è un regista, ma la parte di attuazione avviene attraverso le autonomie dell'università».
L'ufficio studi di Almalaurea accende i riflettori su un fenomeno, quello degli abbandoni scolastici, che potrebbe in parte spiegare i nuovi dati: «La selezione pre-università è talmente forte che oggi si iscrivono a una facoltà 29 diciannovenni su cento. Se consideriamo la popolazione che termina le scuole superiori, il calo è stato del 10%: dal 74% dei primi anni del 2000 si è passati al 64%.
Quanto a laureati, l'Italia è largamente al di sotto della media Ocse: 34esimo posto su 36 Paesi. Solo il 19% dei 30-34enni ha una laurea, contro una media europea del 30%. Il 33,6% degli iscritti, infine, è fuori corso mentre il 17,3% non fa esami.
Il numero dei laureati nel nostro Paese è destinato a calare ancora anche perchè, negli ultimi 3 anni, il fondo nazionale per finanziare le borse di studio è stato ridotto. Nel 2009 i fondi nazionali coprivano l'84% degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75%.
In sei anni sono stati eliminati 1.195 corsi di laurea. Quest'anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/magistrali. Se questa riduzione è stata inizialmente dovuta ad azioni di razionalizzazione, ora dipende invece in larghissima misura - si fa notare - alla pesante riduzione del personale docente.
Rispetto alla media Ue, in Italia abbiamo 6.000 dottorandi in meno che si iscrivono ai corsi di dottorato. L'attuazione della riforma del dottorato di ricerca prevista dalla riforma Gelmini è ancora al palo e il 50% dei laureati segue i corsi di dottorato senza borsa di studio.

In soli sei anni (2006-2012) il numero dei docenti si è ridotto del 22%. Nei prossimi 3 anni si prevede un ulteriore calo. Contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7. Pur considerando il calo di immatricolazioni, il rapporto docenti/studenti è destinato a divaricarsi ancora per una continua emorragia di professori che non vengono più assunti. Il calo è anche dovuto alla forte limitazione imposta ai contratti di insegnamento che ciascun ateneo può stipulare.
Dal 2001 al 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), calcolato in termini reali aggiustati sull'inflazione, è rimasto quasi stabile, per poi scendere del 5% ogni anno, con un calo complessivo che per il 2013 si annuncia prossimo al 20%. Su queste basi e in assenza di un qualsiasi piano pluriennale di finanziamento moltissime università, a rischio di dissesto - osserva il Cun- non possono programmare nè didattica nè ricerca.
A forte rischio obsolescenza poi le attrezzature dei laboratori per la decurtazione dei fondi: anche i finanziamenti Prin, cioè i fondi destinati alla ricerca libera di base per le università e il Cnr, subiscono tagli costanti: si è passati da una media di 50 milioni all'anno ai 13 milioni per il 2012. Infatti dai 100 milioni assegnati nel 2008-2009 a progetti biennali si è passati a 170 milioni per il biennio 2010-2011 ma per progetti triennali, per giungere a meno di 40 milioni nel 2012, sempre per progetti triennali.



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