Ultima parte
del discorso del Santo Padre sul tema dell’educazione che stiamo
riprendendo su questo blog per entrare nel dettaglio e approfondirne i
suggerimenti. Nelle tre precedenti puntate ci siamo concentrati sul
Terminiamo parlando di verità. Ha
ragione Benedetto XVi quando afferma che “È
pertanto necessario educare nella verità e alla verità”?
Difficile dire di no. Il problema
si pone subito dopo, quando è necessario chiedersi: “Ma, «che cos’è la
verità?» (Gv 18, 38), si
chiedeva già Pilato, che era un governatore. Ai giorni nostri, dire il vero è
divenuto sospetto, voler vivere nella verità sembra superato e promuoverla
sembra essere uno sforzo vano. Eppure il futuro dell’umanità si trova anche nel
rapporto dei bambini e dei giovani con la verità: la verità sull’uomo, la
verità sul creato, la verità sulle istituzioni, e così via. Oltre
all’educazione alla rettitudine del cuore e della mente, i giovani hanno pure
bisogno, oggi più che mai, di essere educati al senso dello sforzo e della
perseveranza nelle difficoltà. Occorre insegnare loro che ogni atto che la
persona umana compie deve essere responsabile e coerente con il suo desiderio
d’infinito, e che tale atto accompagna la sua crescita in vista della
formazione a un’umanità sempre più fraterna e libera da tentazioni
individualiste e materialiste”.
Il timore, o peggio:
l’impressione, è che oggi si sia smarrito completamente il senso della verità.
Da valore oggettivo, dato, da scoprire, è diventato un punto di vista, imposto,
da comunicare. La nostra vita è diventata il metro di misura della realtà, la
verità è ciò che conferma le nostre scelte a prescindere. Poiché abbiamo
smarrito il senso di responsabilità e abbiamo rifiutato il metro di giudizio
sulla realtà, che era sì giudice ma anche fondamento, zattera con la quale
affrontare i marosi della vita in tempesta, ci difendiamo imponendo
innanzitutto a noi stessi la certezza di non avere mai sbagliato, di avere
sempre compiuto scelte coraggiose e giuste. E quindi accusiamo il mondo, gli
altri, di attentare alla nostra felicità. Volevamo essere liberi, siamo
diventati vittime. Abbiamo tolto la consonante iniziale al nostro fondamento,
dimenticandoci che di Dio ce ne è uno solo, di Io infiniti ed ognuno fa sua la
pretesa di essere al centro del mondo. Non solo il suo. Quello con la M maiuscola.
Ecco perché è importante ritornare
ad un sano realismo, che riconduca la nostra vita dentro l’alveo della verità e
della responsabilità. Questo ci permetterà di riscoprire la nostra felicità più
profonda.
Insegnare ed educare al realismo:
una sfida che le famiglie devono affrontare per essere veramente capaci di non
essere travolte dalla liquidità di questa società. Una sfida che nelle scuole
Faes trova sinceri e potenti alleati.
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