martedì 15 gennaio 2013

Non si può più tacere


Ripubblichiamo molto volentieri questa importante intervista alla neuropsichiatra infantile Mariolina Migliarese apparsa sabato 12 gennaio sul quotidiano La Stampa.


Gli esperti avvisano: le difficoltà
ci sono, non basta l’amore in casa
SARA RICOTTA VOZA
MILANO
La buona notizia, comunque la si pensi sull’argomento, è che se ne parli. Quella brutta è che si aspetti spesso il fatto di cronaca perché il discorso pubblico affronti temi seri e delicati che richiederebbero più approfondimento e serenità di clima. Anche in questo caso, infatti, la discussione sull’opportunità o meno che un figlio cresca in una coppia omosessuale non viene da un convegno o da un’importante ricerca di psicanalisti italiani, ma da una sentenza e da un tribunale (per quanto alto e prestigioso come la Cassazione). 

E così agli psicanalisti tocca sempre più spesso commentare i criteri su cui hanno già deciso i giudici. Questi ultimi, nel caso specifico, hanno valutato come determinante per la loro scelta la mancanza di «certezze scientifiche o dati di esperienza».  

«Io mi chiederei prima che cosa vuol dire “certezza” e “dati di esperienza” su problemi di tipo psicologico», si chiede Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e autrice di fortunati libri sulla famiglia: «La famiglia imperfetta» e «La coppia imperfetta». «Da sempre la psicanalisi lavora sulla qualità e sulla profondità, non sulla quantità», spiega Migliarese. «Piuttosto bisognerebbe chiedersi: quali dati cercare? Direi quelli che indicano che cosa va nell’interesse del miglior bene del bambino e del suo sviluppo sereno. Su questo ci sono moltissimi studi ed esperienze». E che cosa è meglio per un figlio? «Fra i bisogni primari c’è l’amore, la cura, l’accudimento e questo può essere effettivamente dato sia dalla figura maschile sia da quella femminile, ma poi ha bisogno di essere accompagnato nella costruzione della propria identità». E siccome il bambino legge se stesso nell’adulto può mancargli il modello con cui identificarsi. «La negazione del valore della differenza sessuale - il corpo è un dato - provoca una gravissima interferenza nella costruzione dell’identità». Che magari non si vede nell’infanzia, ma esplode con la pubertà e la preadolescenza.  

La collega Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dell’età evolutiva alla Sapienza di Roma, è più possibilista. «Pragmatica, direi, nel senso che andrei a vedere caso per caso che cosa è meglio per il minore, e nel caso particolare di questa sentenza direi che si è fatta la scelta giusta». Ma la docente non nega che «se a quattro anni un bambino scopre di avere due mamme o due papà» questo non sia un «problema». Lo è. «Bisogna avere la sensibilità di seguire figli nei vari passaggi; è un po’ come per i bambini adottati, a un certo punto vogliono sapere la verità». Ma la società, per la professoressa, non è ancora pronta. Né all’interno della famiglia, né all’esterno. «Non si può negare che è una complicazione in più, che però si può fronteggiare se la società esterna mette da parte pregiudizi e razzismi, e se all’interno i genitori omosessuali evitano a loro volta di chiudersi nella difesa ideologica». La conclusione? «Non è una questione affettiva, ma conoscitiva, di capire come il figlio vive la situazione della sua famiglia e, se vi cerca un modello maschile o femminile che non trova, dargli la possibilità di aprire a familiari e amici di altro sesso».  

Il dibattito - che all’estero è più vivo, specie in Usa dove il fenomeno è meno recente - si innesta su quello lanciato da Galli Della Loggia sul «Corriere» a fine anno, quando commentando il documento del Gran Rabbino di Francia su «Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione», aveva invitato gli psicanalisti a sfidare il «conformismo» delle idee dominanti sul tema (in gran parte «pro» sentenze come questa). Fulvio Scaparro e Silvia Vegetti Finzi hanno risposto. Se ne stanno aggiungendo altri. «In effetti», conferma la neuropsichiatra Migliarese, «più che contrapposizione, da noi c’è silenzio».  

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