Ripubblichiamo molto volentieri questa importante intervista alla neuropsichiatra infantile Mariolina Migliarese apparsa sabato 12 gennaio sul quotidiano La Stampa.
Gli esperti avvisano: le difficoltà
ci sono, non basta l’amore in casa
ci sono, non basta l’amore in casa
MILANO
La buona notizia, comunque la si pensi sull’argomento, è che se ne parli. Quella brutta è che si aspetti spesso il fatto di cronaca perché il discorso pubblico affronti temi seri e delicati che richiederebbero più approfondimento e serenità di clima. Anche in questo caso, infatti, la discussione sull’opportunità o meno che un figlio cresca in una coppia omosessuale non viene da un convegno o da un’importante ricerca di psicanalisti italiani, ma da una sentenza e da un tribunale (per quanto alto e prestigioso come la Cassazione).
E così agli psicanalisti tocca sempre più spesso commentare i criteri su cui hanno già deciso i giudici. Questi ultimi, nel caso specifico, hanno valutato come determinante per la loro scelta la mancanza di «certezze scientifiche o dati di esperienza».
«Io mi chiederei prima che cosa vuol dire “certezza” e “dati di esperienza” su problemi di tipo psicologico», si chiede Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e autrice di fortunati libri sulla famiglia: «La famiglia imperfetta» e «La coppia imperfetta». «Da sempre la psicanalisi lavora sulla qualità e sulla profondità, non sulla quantità», spiega Migliarese. «Piuttosto bisognerebbe chiedersi: quali dati cercare? Direi quelli che indicano che cosa va nell’interesse del miglior bene del bambino e del suo sviluppo sereno. Su questo ci sono moltissimi studi ed esperienze». E che cosa è meglio per un figlio? «Fra i bisogni primari c’è l’amore, la cura, l’accudimento e questo può essere effettivamente dato sia dalla figura maschile sia da quella femminile, ma poi ha bisogno di essere accompagnato nella costruzione della propria identità». E siccome il bambino legge se stesso nell’adulto può mancargli il modello con cui identificarsi. «La negazione del valore della differenza sessuale - il corpo è un dato - provoca una gravissima interferenza nella costruzione dell’identità». Che magari non si vede nell’infanzia, ma esplode con la pubertà e la preadolescenza.
La collega Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dell’età evolutiva alla Sapienza di Roma, è più possibilista. «Pragmatica, direi, nel senso che andrei a vedere caso per caso che cosa è meglio per il minore, e nel caso particolare di questa sentenza direi che si è fatta la scelta giusta». Ma la docente non nega che «se a quattro anni un bambino scopre di avere due mamme o due papà» questo non sia un «problema». Lo è. «Bisogna avere la sensibilità di seguire figli nei vari passaggi; è un po’ come per i bambini adottati, a un certo punto vogliono sapere la verità». Ma la società, per la professoressa, non è ancora pronta. Né all’interno della famiglia, né all’esterno. «Non si può negare che è una complicazione in più, che però si può fronteggiare se la società esterna mette da parte pregiudizi e razzismi, e se all’interno i genitori omosessuali evitano a loro volta di chiudersi nella difesa ideologica». La conclusione? «Non è una questione affettiva, ma conoscitiva, di capire come il figlio vive la situazione della sua famiglia e, se vi cerca un modello maschile o femminile che non trova, dargli la possibilità di aprire a familiari e amici di altro sesso».
Il dibattito - che all’estero è più vivo, specie in Usa dove il fenomeno è meno recente - si innesta su quello lanciato da Galli Della Loggia sul «Corriere» a fine anno, quando commentando il documento del Gran Rabbino di Francia su «Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione», aveva invitato gli psicanalisti a sfidare il «conformismo» delle idee dominanti sul tema (in gran parte «pro» sentenze come questa). Fulvio Scaparro e Silvia Vegetti Finzi hanno risposto. Se ne stanno aggiungendo altri. «In effetti», conferma la neuropsichiatra Migliarese, «più che contrapposizione, da noi c’è silenzio».
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