Appuntamento quindi presso la scuola Monforte di via Ponzio/Zanoia venerdì 18 gennaio alle ore 18... non mancate!
Proponiamo oggi la prima parte di un'intervista a Gini Dupasquier, la fondatrice di DONNALAB, società di consulenza specializzata nell’inclusione e sviluppo delle donne nelle aziende. Nata a Milano, si è laureata in Economia Aziendale presso l'Università Bocconi. Ama viaggiare, i gatti, i cavalli e ha due figlie piccole. Prima di dedicare le sue energie a promuovere il valore del “gender balance", Gini ha lavorato in Accenture e IMS Health dove ha maturato la propria esperienza di consulenza e ricerca di mercato. Dal 2012 è nel Board di PWA - Professional Women Association of Milan con il ruolo di Professional Development Director & Mentoring Program Leader.
La trovate ovviamente anche su Twitter.
Gini si impegna per assicurare a tutte le donne una equa e corretta opportunità nel mondo del lavoro. Lungi dal pretendere quote di qualsiasi colore, cerca di ottenere un cambio di mentalità che permetta alle donne di non dover scegliere tra professione e vocazione, ma di favorire un ambiente professionale che valorizzi la genialità femminile senza che questo comporti la necessità di fare scelte di vita radicali. O viceversa. Qui trovate la seconda parte.
La trovate ovviamente anche su Twitter.
Gini si impegna per assicurare a tutte le donne una equa e corretta opportunità nel mondo del lavoro. Lungi dal pretendere quote di qualsiasi colore, cerca di ottenere un cambio di mentalità che permetta alle donne di non dover scegliere tra professione e vocazione, ma di favorire un ambiente professionale che valorizzi la genialità femminile senza che questo comporti la necessità di fare scelte di vita radicali. O viceversa. Qui trovate la seconda parte.
Qual è lo scopo del tuo sito Donnalab ?
L’obiettivodi Donnalab è quello di supportare le aziende nel comprendere le esigenze e lemotivazioni delle proprie dipendenti di genere femminile in modo da
valorizzarle. Le donne nei prossimi anni arriveranno a rappresentare il 70%
dei laureati e saranno responsabili di quasi l’80% degli acquisti della
famiglia. Sono quindi prima di tutto per le aziende un bacino di talenti da cui
attingere e un nuovo target di consumatori. Che però va capito a fondo, le
peculiarità di genere non devono spaventare ma non devono neanche essere
ignorate.
Come è venuta l’idea di trattare questo tema?
La spinta è nata dalla mia esperienza personale.
Nel mio percorso professionale ho sempre avuto
l’impressione di vivere in un ambiente meritocratico e non mi ero mai sentita
discriminata in quanto donna… Fino a quando… Ssono diventata mamma.
A quel punto ho percepito un cambio di attitudine da
parte dell’azienda nei miei confronti. Al rientro dalla maternità mi sono stati
tolti alcuni progetti importanti con l’obiezione “sai, nelle tue condizioni non
possiamo assegnarti un cliente importante”.
Ma quali condizioni? Sono malata? Non ho più un
cervello? Ho due bimbe piccole ma mi voglio organizzare, ci tengo al mio
lavoro, mettetemi alla prova!
Così ho cercato di analizzare quello che stava accadendo
in modo razionale. Cosa è cambiato in me in seguito alla maternità? Come è
cambiata l’azienda, che messaggi mi ha lanciato? Che cosa mi ha demotivato?
E allora ho messo tutti i pezzi insieme: la mia
delusione, la consapevolezza che moltissime donne vivono esperienze analoghe,
la sfiducia e il disinvestimento che le aziende spesso mettono in atto verso le
donne e soprattutto verso le mamme.
E mi dico: c’è un’inefficienza, uno spreco di risorse,
una miopia nel mondo del lavoro! Qui viene fuori il mio animo da consulente che
intercetta un problema e cerca un modo per risolverlo e nasce donnalab, con
proposte per la gestione della maternità, il diversity management, lo sviluppo
delle donne…
Come vedete non ne faccio un discorso di pari
opportunità, le donne non sono dei panda da proteggere. Ma ne faccio una
questione di opportunità economica.
Il sesso femminile è diventato, per certi versi, il sesso forte oggi: ha davvero bisogno di azioni di sostegno?
Non le donne, ma le aziende che non sanno come relazionarsi con
loro, si!
Nuove aziende, vecchie resistenze: che cosa dovrebbe cambiare per dare alle donne le reali opportunità professionali che meritano?
Una cultura aziendale realmente meritocratica, una valutazione
della performance basata sui risultati e non sul tempo fisico passato in
ufficio, la consapevolezza che la maternità non è un costo ma un semplice
accadimento organizzativo, da imparare a gestire, serenamente.
Quali sono a tuo parere i talenti specifici del mondo femminile che gli uomini non possiedono o solo in modo trascurabile?
Non penso che le donne abbiano talenti
diversi rispetto agli uomini, bensì che il vero valore aggiunto si abbia quando ciascun individuo si
sente libero di esprimere il proprio stile in quanto vive in un ambiente
realmente inclusivo.
Sono una grande promotrice del
gender balance, l’equilibrio di genere, convinta che i team vincenti siano
quelli misti: soltanto mediante una
leadership di uomini e donne capaci di collaborare alla pari, sarà possibile
costruire un modello di capitalismo più sano, più sicuro, più sostenibile.
Quali sono le peculiarità del mondo femminile che le aziende valorizzano poco o per nulla?
Le culture aziendali non sono
state deliberatamente progettate per escludere le donne dalle posizioni di
potere: ma sono rimaste immodificate, anche quando la presenza femminile in
azienda è cresciuta, con l’effetto di scoraggiare le donne che non sanno o non
vogliono giocare con le stesse regole.
Le aziende che decidono di
studiare le esigenze della propria popolazione femminile scopriranno, ad
esempio, che:
1. Le donne quasi mai identificano il fattore monetario come principale driver di motivazione: individuare le leve giuste può essere economicamente vantaggioso per l’azienda ed avere un ottimo impatto sull’engagement della risorsa.
1. Le donne quasi mai identificano il fattore monetario come principale driver di motivazione: individuare le leve giuste può essere economicamente vantaggioso per l’azienda ed avere un ottimo impatto sull’engagement della risorsa.
2. La performance misurata in base alla permanenza fisica in
ufficio inevitabilmente penalizza coloro che hanno esigenze familiari. Perché
non porre un limite orario alla pianificazione delle riunioni pomeridiane.
3. Nell’avanzamento di carriera, da un certo livello in su, conta
moltissimo il networking e le donne tendono a sentirsi poco a loro agio in
questa dimensione. Non vuole dire che il capo non possa più andare a prendere
un aperitivo con i colleghi, però deve porsi il problema che questa vicinanza
amicale non prevalga sul merito.
4. I percorsi di carriera tendono ad essere solo lineari, non sono
contemplati rallentamenti temporanei. Invece molto spesso, se a ridosso della
nascita di un figlio la donna ha particolari esigenze o preclusioni alla
mobilità, tali barriere potrebbero decadere naturalmente, purchè in un secondo
momento la donna abbia la possibilità di tornare “in corsa”.
Sono solo alcuni esempi che variano
a seconda della realtà aziendale. Però ridefinire le regole del gioco è chiave
per valorizzare una popolazione aziendale sempre più variegata e considerando
le aspettative in proposito dei “giovani”, come abbiamo avuto modo di
riscontrare in una ricerca
effettuata l’anno scorso sul target studenti universitari vs lavoratori
(http://www.donnalab.it/484/il-lavoro-ideale/)
Che cosa è il diversity management?
E’ una disciplina, di solito inserita
nell’area Human Resources, che si occupa di gestire le “diversità” o minoranze
all’interno dell’azienda, tipicamente quelle di genere, provenienza geografica,
religione, orientamento sessuale. In quasi tutte le aziende le iniziative
dedicate alla popolazione femminile rientrano in questa area anche se a volte
mi chiedo … Ma è giusto considerare le donne una “diversity” visto che
rappresentano metà della popolazione?
Il discorso con Gini non finisce qui, la seconda parte della sua intervista andrà....in onda tra una settimana esatta. Stay tuned!
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