sabato 11 maggio 2013

Giovani scrittori crescono: Federico Scolari e il suo racconto "vincente" (seconda parte)

Continuiamo con la pubblicazione del racconto di Federico Scolari iniziato venerdì scorso.



Capitolo 6: Nei giorni seguenti Phil e Chiara si trovarono molto spesso in biblioteca per scrivere gli articoli per il giornalino scolastico della scuola. La biblioteca era il luogo ideale per realizzare al meglio la stesura degli articoli, perché era un posto silenzioso e trasmetteva ai due amici una certa, strana voglia di lavorare al meglio. I pomeriggi trascorrevano molto velocemente e fra i due e, superato l’imbarazzo dei primi incontri, nacque un buon rapporto. Sembrava forse che si fossero innamorati l’un l’altro… i loro sguardi si incrociavano di continuo, ed entrambi provavano un sentimento che si diffondeva in tutto il corpo. “Chissà se sia una cosa positiva”, si chiedeva sempre Chiara ogni volta che provava quella sensazione. Comunque sia, il giornalino andò a ruba nella scuola dei ragazzi perché rappresentava i desideri e le richieste di tutti gli alunni, sia del classico sia dello scientifico. Chiara e Phil erano ricercati in tutta la scuola perché tutti i ragazzi volevano porre loro domande e dubbi da chiarire nei numeri successivi del giornalino. Che successone! I due ragazzi erano proprio soddisfatti del lavoro che stavano svolgendo e che avrebbero continuato a svolgere su grande richiesta di professori e amici. “Cosa possiamo nel prossimo articolo?” chiese Chiara “Dovremmo chiedere consiglio a qualcuno”. “Non so ma… oggi non sono venuto qua in biblioteca per parlare di lavoro…” disse Phil con un’aria ambigua “Volevo chiederti se…” la sua faccia divenne sempre più rossa a causa dell’imbarazzo o forse dell’emozione “…se domani hai impegni dopo la scuola”. Phil tirò un sospiro di sollievo. Chiara, imbarazzata ed emozionata oltremodo, aveva una strana confusione in testa, come se i suoi pensieri si scontrassero a vicenda in un caos totale. “Sì, sì, va bene. A che ora ci possiamo incontrare?”. “ Non so, verso le tre va bene?” domandò Phil, pietrificato dalla felicità. “Per me va benissimo!” esclamò Chiara. “V…va bene, ora devo andare, devo finire i compiti di Inglese… che noia!” Chiara rise quasi inconsciamente osservando il suo amico che scendeva le scale. “Allora ciao!” urlò Phil. “C…ciao” rispose lei. Il suo cuore batteva forte, mentre la sua mente era intasata di strani pensieri. 

Capitolo 7: Così trascorsero i giorni, in un clima di studio ma di grande felicità, fino a quando arrivò il tanto amato giorno di Natale. La sua magia è indescrivibile; vedere la neve che scende soffice sui tetti delle case porta una felicità incredibile nel cuore. Tutti sono felici, i bimbi aprono i regali e ci si riunisce con la propria famiglia per pranzare felicemente come accade solamente una volta l’anno. Così trascorsero il Natale i nostri amici, fra regali, parenti e ovviamente pranzi megagalattici e immense merende a base di pandori e panettoni a volontà. Ma finalmente arrivò quel giorno, quel tanto atteso giorno. I nostri amici erano pronti, muniti di guanti e cappellino. Dovevano agire di notte, per non allertare i custodi che c’erano di giorno. Di giorno infatti c’erano tre custodi che controllavano il seminterrato e i due ingressi, quello principale e quello secondario. La compagnia si ritrovò davanti alla scuola verso le 9 di sera, con la nuvoletta che usciva densa ad ogni loro respiro. Subito Giulia, salutati gli amici, condusse la compagnia verso l’ingresso secondario, che si era preoccupata di lasciare aperto prima delle vacanze. Nel caso i custodi l’avessero chiusa, si era procurata le chiava grazie ad un suo amico. La luna illuminava con una luce tiepida il cortile dove erano entrati i ragazzi, e l’aria era gelida come in poche giornate invernali. Phil e Chiara si tenevano per mano, quasi senza accorgersene, davanti a quel romantico ma allo stesso tempo inquietante scenario. Vi era una leggera nebbia che ostruiva parzialmente la vista dei nostri amici. I loro cuori battevano all’impazzata, come non era mai capitato nella loro vita. Giulia, che capitanava il gruppo, girò a destra due volte, fino ad arrivare dinnanzi alla porta del seminterrato. ”Allora, dovete fare il massimo silenzio, capito?” disse con una voce rauca e fievole “se ci scopre qualcuno, ciao ciao soluzione!”. Tutti annuirono e Giulia girò lentamente e silenziosamente la pesante maniglia della porta; tutti riuscirono ad entrare senza farsi scoprire. Il seminterrato era umido e aveva uno strano odore, come se nessuno fosse entrato lì da tempo. La luce delle torce dei ragazzi mostravano ai loro occhi oggetti strani e dimenticati in quell’enorme stanza da tempo. Tutto era silenzioso. Si udivano solamente i respiri pesanti e regolari dei ragazzi. Giulia fece un segno con la mano e tutti la seguirono senza fare domande. L’investigatrice aveva in mano una mappa del seminterrato, presa qualche giorno prima dalla segreteria della scuola e quindi sapeva a memoria dove andare e come recarsi al contatore che, secondo il gruppo, era la causa di quei misteriosi black-out. Il seminterrato era strano: dappertutto vi erano delle ragnatele e polvere che probabilmente si trovavano lì da anni. Ovunque vi erano dei strani sarcofaghi e dei papiri egizi, chissà per quale oscuro motivo. La luce si infiltrava fioca dalle finestre, quando i ragazzi individuarono il contatore. La tensione si tagliava con il coltello. Ad un tratto il silenzio fu interrotto da un rumore sordo, quasi impercettibile; era Chiara che era inciampata su un antico vaso egizio. “Cosa fai, stai un po’ ferma” disse Biro “Non fare come quel giorno quando abbiamo giocato a scacchi, che hai buttato tutto per terra perché non stai ferma un secondo. ”Non è vero, cosa stai dicen…” “shhh, non è l’ora di litigare adesso!” esclamò Giulia, forse un pò troppo forte. “Dobbiamo stare in silenzio e concentrarci, è molto rischioso essere scoperti!”. Chiara e Biro annuirono silenziosamente. Il contatore era davanti a loro, grande e scuro, che quasi incuteva paura. Chiara aveva trovato il modello dello stesso e se l’era studiato alla perfezione. Tutto era calcolato. “Ecco, dovrei tirare questa leva e poi schiacciare questo pulsan…” “Chi è!?!” una voce cavernosa tuonò alle spalle dei ragazzi. “Cosa ci fate voi qui!? Rischiate l’espulsione dalla scuola, lo sapete vero!?” “Cavolo, lo sapevo che ci avrebbero beccati!” Urlò Biro. Ma ormai era troppo tardi. Degli strani geroglifici apparirono sul contatore e una luce immensa penetrò la stanza. Il rumore potentissimo fece sobbalzare gli amici e una botola si aprì dietro di loro, scura e pesante, e i ragazzi furono avvolti nel vortice comparso all’interno dell’apertura. Il custode, allibito, osservò il vuoto ed il silenzio della stanza. Sembrava quasi che la luce della luna si fosse spenta. Il custode non ricordava più nulla, e si ritirò nuovamente sulla sua sedia e lì rimase, addormentato, per un’intera notte. Cosa succederà ai nostri amici? Phil e Chiara riusciranno a scrivere l’articolo e come continuerà il loro rapporto? Ma, soprattutto, l’omogeneità del gruppo ed il loro affiatamento rimarranno invariati anche quando dovranno affrontare strani enigmi e situazioni complicate? I ragazzi non avrebbero dovuto cercare di andare in fondo alla questione, ma a volte alla curiosità non si può resistere. 

Capitolo 8: l’aria era pesante e calda; non c’era neanche un filtro di luce. Quando i quattro amici si svegliarono, tutto era scuro e inquietante. “Dove siamo finiti? Come siamo arrivati qui?” si chiese Chiara, che non trovava più i suoi occhiali tant’era buio. “E’ colpa del contatore. Quella luce ci ha portati fino a qui, ne sono sicura” disse scura in volto Giulia. “Cosa? Come è possibile?” chiese allibito Biro. ”Non lo so, devo cercare degli indizi o qualcosa che ci porti fuori da questa stanza”. “Tastate i mattoni delle mura, l’ho visto fare in un film” propose Phil. “No, non è possibile, non credere ai film, Phil! Cerchiamo di ragionare in modo tranquillo” rispose seccata Giulia. “Ma possiamo almeno provar…” TRACK! Ancora quello spaventoso rumore del black-out. Gli amici avvertirono una scossa molto potente. Le pareti della stanza crollarono e una luce calda raggiunse il loro viso, accompagnata da un vento insistente. Anche il pavimento non c’era più. I ragazzi erano seduti su una sabbia soffice, di colore marroncino chiaro, calda come il sole a mezzogiorno nelle giornate estive. “Adesso dove siamo? Comincio a preoccuparmi!” “Silenzio un attimo, Chiara, non continuare ad urlare e a fare domande!” “Stai tranquilla Giulia! Siamo in mezzo al deserto, mi spieghi come faccio a non preoccuparmi?”. “Ti ho detto di non…” “Calma, calma. E’ proprio questo che non dobbiamo fare. Non dobbiamo litigare inutilmente. In questa strana situazione dobbiamo mantenere la tranquillità e il rispetto verso gli altri” intervenne Phil. “Giusto, chiedo scusa Chiara. Ora però dobbiamo ragionare. Se quel rumore ha fatto crollare le pareti e ci ha fatto uscire da quel posto, forse ci sarà d’aiuto, no?” “Non credo proprio. Se continueremo a spostarci da un luogo ad un altro, non ci fermeremo mai. Come facciamo a mangiare e a bere? Dobbiamo trovare prima di tutto un rifugio dove riposarci e magari cercare dell’acqua e del cibo” Disse Biro, appassionato da sempre nella costruzione di piccole casette di legno, passione tramandatagli dal padre quand’era piccolino. Così i nostri amici si incamminarono verso Nord, seguendo il sottile ago di una piccola bussola, che indicava quell’ignoto cammino che li porterà alla avventura più estasiante della loro vita. 

Capitolo 9: Dopo circa un paio d’ore di cammino, la compagnia era sfinita. Il vento torrido infastidiva i loro occhi e il Sole bollente scottava il loro viso. Avevano ancora addosso i giubbini che indossavano prima di giungere in quel luogo sperduto, così decisero di stenderli per terra e sdraiarcisi sopra, evitando di venire a contatto con quella sabbia scottante. “Ah, finalmente un po’ di riposo! Non ce la facevo più” disse Biro, adagiato sul suo giubbino verde. “ Già, però io adesso ho anche sete! Come facciamo?” “Stai tranquilla Chiara, ho ancora due borracce piene di acqua, bisogna utilizzarle con cura, finché non troveremo un’oasi o qualcosa del genere” rassicurò Giulia, ormai protagonista della situazione. “Per ora dobbiamo semplicemente pensare a riposarci qualche minuto e poi rimetterci in marcia, dopo aver bevuto un goccio d’acqua” “Ma come faremo a trovare un’oas… TRACK! Eh già, di nuovo quell’inquietante e assordante frastuono. Gli amici si guardarono in faccia, visibilmente spaventati, poi chiusero gli occhi in attesa che accadesse qualche cosa. Un vortice li avvolse completamente e una luce si impadronì del deserto, facendo scomparire ogni cosa. Trascorse un minuto, poi due, poi cinque, ma nulla da fare. Nessuno voleva aprire gli occhi per vedere dove fossero capitati. Il silenzio era totale. Solo Giulia si accorse che l’atmosfera era diversa; fu infatti la prima ad osservare quella inquietante caverna, silenziosa e buia come il seminterrato da cui era cominciata la loro avventura. “Ragazzi, svegliatevi! Presto, guardate dove siamo!” “Non ci posso credere! Ci siamo spostati ancora! Quando ci fermeremo?” “Non so, ma sono certa che ci siamo cacciati in un brutto guaio”. E Giulia aveva ragione. 

Capitolo 10: l’aria era fredda e umida e di certo quel luogo non contribuiva a tranquillizzare gli animi dei compagni. Un leggero venticello penetrò all’interno della caverna, facendo sobbalzare i cuori degli amici, che non riuscivano a vedere nulla se non altro che la nuvoletta che usciva dalle loro bocche. “Non usciremo mai più da qui! Perché è capitato a noi? Perché?” “Calma Chiara, calma. Non disperiamoci proprio adesso. Ricordatevi che siamo qui per scoprire un mistero, quindi diamoci da fare!”. Le parole di Giulia riecheggiarono decise fra le mura della caverna, convincendo gli amici a rialzarsi dalla loro tristezza. “Forza, prendiamo le torce e vediamo cosa ci aspetta fuori di qui!” “Giulia, c’è un problema… non trovo più il mio zaino… si sarà smarrito durante il viaggio.” “Nessun problema, potrai stare accanto a me…” disse Phil, facendole l’occhiolino. Il loro rapporto continuava di bene in meglio. Durante l’avventura si erano tenuti per mano quasi inconsciamente e procedevano nel loro cammino fianco a fianco. Chissà, magari quando torneranno a casa nascerà una storia d’amore… comunque, prese in mano le torce, i compagni si recarono senza paura verso l’entrata della caverna. Fuori li attendeva inquietante la notte nel deserto. Le stelle brillavano e le palme ondeggiavano lente provocando un lieto rumore. L’aria era gelida, tipica delle notti del deserto del Sahara. “La vedete quella luce laggiù?” “Si, mi sembra che si muova verso di noi.” Era proprio così. Dopo pochi minuti un uomo sul dorso di un cammello si avvicinò alla compagnia e li rivolse alcune strane parole, probabilmente il linguaggio del luogo, con un sorriso stampato in volto. Aveva una barba nera e la sua pelle era scura; pareva abbastanza giovane. Era abbigliato con il tipico vestiario tuareg, ovvero con una veste blu che lo ricopriva totalmente lasciando fuori solamente la barba e i sui occhi azzurri. Con un gesto della mano invitò gentilmente gli amici a salire sui due cammelli che lo seguivano e, non sapendo cosa fare, i ragazzi si consultarono per un paio di minuti, giungendo alla conclusione che avrebbero dovuto seguire l’uomo per tentare di cercare qualche indizio. Lentamente e con qualche difficoltà tutti riuscirono a salire sui cammelli e seguirono senza dire una parola l’uomo gentile che aveva deciso, si auguravano, di aiutarli. Era ormai giunto il tempo dell’alba, e un tiepido sole si levò dalle dune, delineando delle ombre che seguirono gli amici fino all’arrivo in una piccola cittadina sperduta nel deserto. Finalmente in quel luogo la compagnia avrebbe dato una svolta al mistero, ma solo dopo grandi difficoltà. 

Terza e ultima parte del racconto di Federico sabato prossimo, 18 maggio.

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