lunedì 13 maggio 2013

Partire dal cinema e finire a parlare di scuola? Si può!




Partire dal cinema e finire a parlare di scuola? Si può! Leggete questo articolo e capirete come è facile il collegamento.

Un articolo profondo che spiega come mai non si va più al cinema.
Ma non parla solo di crisi, che ormai sembra (e forse è) la soluzione a tutti questi cambi di cultura che stanno avvenendo negli ultimi anni. La causa, secondo Luigino Bruni autore, è anche attribuita al mancato senso del bello, dell'arte e del piacere di qualcosa di bello da fruire ed esperire per il semplice desiderio. Tutto deve essere riconducibile al sociale, senza gli altri non riusciamo a vedere le cose belle che la vita e il mondo ci offrono.

Forse inizieremo anche a pensare che andare al cinema da soli non è poi così male!

Buona lettura


Ci serve tutto un altro film
Impressiona vedere quante sale cinemato­grafiche stanno chiudendo in questi tem­pi di crisi. La chiusura di un cinema non è so­lo la fine di un’impresa. Il cinema è anche l’i­cona di un uso relazionale del tempo, che og­gi trova sempre meno posto in una società dove il consumo sta sempre più assumendo le sembianze dell’individuo solo e solitario. È la legge di mercato, si dirà. Di un certo mer­cato anonimo, occorre aggiungere, che riem­pie con le sue merci quelle solitudini che in larga misura esso stesso crea.

Non occorre scomodare economisti e socio­logi per capire che c’è una differenza radica­le tra l’esperienza che fa chi vede un film al ci­nema e chi vede lo stesso film a casa, soprat­tutto se il primo è visto con amici e il secon­do da soli, magari al pc. Quando si esce per andare al cinema insieme ad amici, ci si pre­para, si investe tempo nella scelta che è frut­to di dialogo con gli altri, un dialogo che por­ta spesso a vedere film che non avremmo mai visto se avessimo seguito solo i nostri gusti personali (ho scoperto film splendidi per far contento un amico). Si parla prima, durante e soprattutto dopo il film, un film che da sem­plice prodotto si trasforma così in un incon­tro, dove alla 'merce' si aggiungono altri be­ni, tra i quali, fondamentali, sono quei beni re­lazionali che produciamo e consumiamo in­sieme. Succede anche che si torni al cinema per rivedere lo stesso film con altri amici, per­ché ci piace vedere se il nostro amico si com­muove proprio in quei passaggi nei quali mi sono emozionato (e mi ri-emoziono) anche io. La mutua «corrispondenza di sentimenti» (essere consapevoli che si sta provando in­sieme la stessa emozione), diceva Adam Smith due secoli e mezzo fa, è una delle principali fonti di felicità. Questo intreccio di beni­emozioni- rapporti generalmente non acca­de, o accade in maniera più impoverita, nel consumo individuale di home-video, per non parlare della visione di capolavori in tv. Tut­ti sappiamo che 'la visione di Amarcord al ci­nema' e 'la visione di Amarcord al pc' sono due cose, due beni molto diversi – peccato che ci vengono presentati, e venduti, come identici.

E qui si apre una riflessione molto più gene­rale. Fino a tempi recenti, per poter 'consu­mare' alcuni beni (arte, cultura, festa, musi­ca, religioni, sport, politica, gioco, scuola, cu­ra, e molto altro) dovevo necessariamente sta­re insieme agli altri. A quei beni erano indis­solubilmente legati anche i beni relazionali. La musica si ascoltava in concerti o in sale da ballo, lo sport nei campi e nelle palestre, e si andava al cinematografo assieme. L’inven­zione del mercato consente oggi, e sempre più, di separare in molti beni la componente relazionale da quella più propriamente indi­viduale. Posso ascoltare da solo musica con l’i-Pod, e poi, quando e se voglio, uscire con gli amici. Posso correre da solo (con l’iPod), in­crociando nei parchi molti altri corridori so­litari senza incontrarne nessuno, e poi, se e quando voglio, coltivare le mie amicizie. Lo stesso accade con i film, con la politica (si è passati dai comizi in piazza a monologhi sul divano con politici televisivi), e ormai con l’u­niversità (stiamo già cominciando a 'com­prare' esami e titoli online senza il bisogno di incontrare nessuno), in una progressiva se­parazione delle merci dai rapporti umani. So­stituiamo il rapporto 'io-tu' (tramite le mer­ci), con il rapporto 'io-merce' e 'tu-merce', rimandando il 'noi' a un secondo, futuro, momento.

E’ questo l’umanesimo del mercato capitali­stico (non di tutto il mercato), dell’individuo, della libertà di scelta. Anche questi sono va­lori dell’Occidente e delle sue radici cristiane, che hanno svolto una funzione decisiva nel­la liberazione degli individui da molti, troppi, rapporti non scelti, da 'balli' con le persone sbagliate e non amate. Ma gli studi sul be­nessere delle persone ci dicono però delle co­se che è bene tener presente per valutare be­ne i benefici del mercato insieme ai suoi co­sti, e magari cercare di riformarlo. L’offerta di molti beni depurati e sterilizzati dai rapporti personali negli ultimi decenni sta vedendo u­na accelerazione impressionante. La concor­renza di mercato, unita al progresso tecnico, abbassa i costi dei beni, i costi monetari ma soprattutto i costi in termini di tempo.

Costa così sempre meno tempo vedere un film a casa: non devo neanche uscire, neanche alzarmi dal letto. Invece – e qui sta il punto – uscire di casa per andare al cinema, o a fare sport con gli amici, costa più o meno come cento anni fa, per non parlare del 'costo' dell’investimento (di tempo, risorse, a­more…) in una amicizia o in una famiglia, che costa, più o me­no, come mille anni fa. Inoltre il tempo e le risorse investite in un’a­micizia è rischioso, può ferirci quando manca reciprocità. Da u­na semplicissima legge economica sappiamo che quando il prez­zo di un bene (merce) scende molto e il costo dell’altro (beni re­lazionali) resta costante, è come se il secondo costasse molto di più. In altre parole, un mercato che, per aumentare le mie libertà, mi separa le merci dai rapporti, in realtà mi sta anche rendendo molto costosi i beni relazionali. «L’altro giorno – mi ha racconta­to un mio collega – avevo chiesto a papà di andare insieme al con­certo del coro di mia moglie. Suono il citofono, e lui mi dice che aveva cambiato idea. Lo capivo, pioveva, vestirsi, uscire, era mol­to più 'costoso' che stare sul divano di fronte ad un film». E poi ha aggiunto: «La mattina dopo si sarà pentito». Che fare allora? Possiamo fare poco, ma qualcosa sì. Innanzitutto con la tassazione dei beni, che ha anche lo scopo di favorire i beni socialmente me­ritori (e oggi i beni relazionali lo sono, in un mondo di crisi di le­gami e quindi di felicità). Ma anche con l’educazione.

Un primo passo potrebbe essere inserire nelle scuole l’educazio­ne al consumo e al rapporto con i beni, insegnando a distingue­re tra il consumo di merci che sono merci e basta, dai beni rela­zionali che sono anche un investimento in vita buona. E poi met­tiamo la tecnologia al servizio dei rapporti. Penso a quei circoli culturali, a quelle parrocchie, dove oggi con una spesa molto con­tenuta possono acquistare un proiettore video di qualità e ricreare nuovi 'cinematografi'. E così possono ricreare la magia del cine­ma, la gioia dei rapporti, delle comunità che oggi si stanno trop­po impoverendo, impoverendoci tutti.


Luigino Bruni

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