Partire dal cinema e finire a parlare di scuola? Si può! Leggete questo articolo e capirete come è facile il collegamento.
Un articolo profondo che spiega come mai non si va più al cinema.
Ma non parla solo di crisi, che ormai sembra (e forse è) la soluzione a tutti questi cambi di cultura che stanno avvenendo negli ultimi anni. La causa, secondo Luigino Bruni autore, è anche attribuita al mancato senso del bello, dell'arte e del piacere di qualcosa di bello da fruire ed esperire per il semplice desiderio. Tutto deve essere riconducibile al sociale, senza gli altri non riusciamo a vedere le cose belle che la vita e il mondo ci offrono.
Forse inizieremo anche a pensare che andare al cinema da soli non è poi così male!
Buona lettura
Ci serve tutto un altro film
Impressiona vedere quante sale cinematografiche stanno chiudendo in questi tempi di crisi. La chiusura di un cinema non è solo la fine di un’impresa. Il cinema è anche l’icona di un uso relazionale del tempo, che oggi trova sempre meno posto in una società dove il consumo sta sempre più assumendo le sembianze dell’individuo solo e solitario. È la legge di mercato, si dirà. Di un certo mercato anonimo, occorre aggiungere, che riempie con le sue merci quelle solitudini che in larga misura esso stesso crea.
Non occorre scomodare economisti e sociologi per capire che c’è una differenza radicale tra l’esperienza che fa chi vede un film al cinema e chi vede lo stesso film a casa, soprattutto se il primo è visto con amici e il secondo da soli, magari al pc. Quando si esce per andare al cinema insieme ad amici, ci si prepara, si investe tempo nella scelta che è frutto di dialogo con gli altri, un dialogo che porta spesso a vedere film che non avremmo mai visto se avessimo seguito solo i nostri gusti personali (ho scoperto film splendidi per far contento un amico). Si parla prima, durante e soprattutto dopo il film, un film che da semplice prodotto si trasforma così in un incontro, dove alla 'merce' si aggiungono altri beni, tra i quali, fondamentali, sono quei beni relazionali che produciamo e consumiamo insieme. Succede anche che si torni al cinema per rivedere lo stesso film con altri amici, perché ci piace vedere se il nostro amico si commuove proprio in quei passaggi nei quali mi sono emozionato (e mi ri-emoziono) anche io. La mutua «corrispondenza di sentimenti» (essere consapevoli che si sta provando insieme la stessa emozione), diceva Adam Smith due secoli e mezzo fa, è una delle principali fonti di felicità. Questo intreccio di beniemozioni- rapporti generalmente non accade, o accade in maniera più impoverita, nel consumo individuale di home-video, per non parlare della visione di capolavori in tv. Tutti sappiamo che 'la visione di Amarcord al cinema' e 'la visione di Amarcord al pc' sono due cose, due beni molto diversi – peccato che ci vengono presentati, e venduti, come identici.
E qui si apre una riflessione molto più generale. Fino a tempi recenti, per poter 'consumare' alcuni beni (arte, cultura, festa, musica, religioni, sport, politica, gioco, scuola, cura, e molto altro) dovevo necessariamente stare insieme agli altri. A quei beni erano indissolubilmente legati anche i beni relazionali. La musica si ascoltava in concerti o in sale da ballo, lo sport nei campi e nelle palestre, e si andava al cinematografo assieme. L’invenzione del mercato consente oggi, e sempre più, di separare in molti beni la componente relazionale da quella più propriamente individuale. Posso ascoltare da solo musica con l’i-Pod, e poi, quando e se voglio, uscire con gli amici. Posso correre da solo (con l’iPod), incrociando nei parchi molti altri corridori solitari senza incontrarne nessuno, e poi, se e quando voglio, coltivare le mie amicizie. Lo stesso accade con i film, con la politica (si è passati dai comizi in piazza a monologhi sul divano con politici televisivi), e ormai con l’università (stiamo già cominciando a 'comprare' esami e titoli online senza il bisogno di incontrare nessuno), in una progressiva separazione delle merci dai rapporti umani. Sostituiamo il rapporto 'io-tu' (tramite le merci), con il rapporto 'io-merce' e 'tu-merce', rimandando il 'noi' a un secondo, futuro, momento.
E’ questo l’umanesimo del mercato capitalistico (non di tutto il mercato), dell’individuo, della libertà di scelta. Anche questi sono valori dell’Occidente e delle sue radici cristiane, che hanno svolto una funzione decisiva nella liberazione degli individui da molti, troppi, rapporti non scelti, da 'balli' con le persone sbagliate e non amate. Ma gli studi sul benessere delle persone ci dicono però delle cose che è bene tener presente per valutare bene i benefici del mercato insieme ai suoi costi, e magari cercare di riformarlo. L’offerta di molti beni depurati e sterilizzati dai rapporti personali negli ultimi decenni sta vedendo una accelerazione impressionante. La concorrenza di mercato, unita al progresso tecnico, abbassa i costi dei beni, i costi monetari ma soprattutto i costi in termini di tempo.
Costa così sempre meno tempo vedere un film a casa: non devo neanche uscire, neanche alzarmi dal letto. Invece – e qui sta il punto – uscire di casa per andare al cinema, o a fare sport con gli amici, costa più o meno come cento anni fa, per non parlare del 'costo' dell’investimento (di tempo, risorse, amore…) in una amicizia o in una famiglia, che costa, più o meno, come mille anni fa. Inoltre il tempo e le risorse investite in un’amicizia è rischioso, può ferirci quando manca reciprocità. Da una semplicissima legge economica sappiamo che quando il prezzo di un bene (merce) scende molto e il costo dell’altro (beni relazionali) resta costante, è come se il secondo costasse molto di più. In altre parole, un mercato che, per aumentare le mie libertà, mi separa le merci dai rapporti, in realtà mi sta anche rendendo molto costosi i beni relazionali. «L’altro giorno – mi ha raccontato un mio collega – avevo chiesto a papà di andare insieme al concerto del coro di mia moglie. Suono il citofono, e lui mi dice che aveva cambiato idea. Lo capivo, pioveva, vestirsi, uscire, era molto più 'costoso' che stare sul divano di fronte ad un film». E poi ha aggiunto: «La mattina dopo si sarà pentito». Che fare allora? Possiamo fare poco, ma qualcosa sì. Innanzitutto con la tassazione dei beni, che ha anche lo scopo di favorire i beni socialmente meritori (e oggi i beni relazionali lo sono, in un mondo di crisi di legami e quindi di felicità). Ma anche con l’educazione.
Un primo passo potrebbe essere inserire nelle scuole l’educazione al consumo e al rapporto con i beni, insegnando a distinguere tra il consumo di merci che sono merci e basta, dai beni relazionali che sono anche un investimento in vita buona. E poi mettiamo la tecnologia al servizio dei rapporti. Penso a quei circoli culturali, a quelle parrocchie, dove oggi con una spesa molto contenuta possono acquistare un proiettore video di qualità e ricreare nuovi 'cinematografi'. E così possono ricreare la magia del cinema, la gioia dei rapporti, delle comunità che oggi si stanno troppo impoverendo, impoverendoci tutti.
Non occorre scomodare economisti e sociologi per capire che c’è una differenza radicale tra l’esperienza che fa chi vede un film al cinema e chi vede lo stesso film a casa, soprattutto se il primo è visto con amici e il secondo da soli, magari al pc. Quando si esce per andare al cinema insieme ad amici, ci si prepara, si investe tempo nella scelta che è frutto di dialogo con gli altri, un dialogo che porta spesso a vedere film che non avremmo mai visto se avessimo seguito solo i nostri gusti personali (ho scoperto film splendidi per far contento un amico). Si parla prima, durante e soprattutto dopo il film, un film che da semplice prodotto si trasforma così in un incontro, dove alla 'merce' si aggiungono altri beni, tra i quali, fondamentali, sono quei beni relazionali che produciamo e consumiamo insieme. Succede anche che si torni al cinema per rivedere lo stesso film con altri amici, perché ci piace vedere se il nostro amico si commuove proprio in quei passaggi nei quali mi sono emozionato (e mi ri-emoziono) anche io. La mutua «corrispondenza di sentimenti» (essere consapevoli che si sta provando insieme la stessa emozione), diceva Adam Smith due secoli e mezzo fa, è una delle principali fonti di felicità. Questo intreccio di beniemozioni- rapporti generalmente non accade, o accade in maniera più impoverita, nel consumo individuale di home-video, per non parlare della visione di capolavori in tv. Tutti sappiamo che 'la visione di Amarcord al cinema' e 'la visione di Amarcord al pc' sono due cose, due beni molto diversi – peccato che ci vengono presentati, e venduti, come identici.
E qui si apre una riflessione molto più generale. Fino a tempi recenti, per poter 'consumare' alcuni beni (arte, cultura, festa, musica, religioni, sport, politica, gioco, scuola, cura, e molto altro) dovevo necessariamente stare insieme agli altri. A quei beni erano indissolubilmente legati anche i beni relazionali. La musica si ascoltava in concerti o in sale da ballo, lo sport nei campi e nelle palestre, e si andava al cinematografo assieme. L’invenzione del mercato consente oggi, e sempre più, di separare in molti beni la componente relazionale da quella più propriamente individuale. Posso ascoltare da solo musica con l’i-Pod, e poi, quando e se voglio, uscire con gli amici. Posso correre da solo (con l’iPod), incrociando nei parchi molti altri corridori solitari senza incontrarne nessuno, e poi, se e quando voglio, coltivare le mie amicizie. Lo stesso accade con i film, con la politica (si è passati dai comizi in piazza a monologhi sul divano con politici televisivi), e ormai con l’università (stiamo già cominciando a 'comprare' esami e titoli online senza il bisogno di incontrare nessuno), in una progressiva separazione delle merci dai rapporti umani. Sostituiamo il rapporto 'io-tu' (tramite le merci), con il rapporto 'io-merce' e 'tu-merce', rimandando il 'noi' a un secondo, futuro, momento.
E’ questo l’umanesimo del mercato capitalistico (non di tutto il mercato), dell’individuo, della libertà di scelta. Anche questi sono valori dell’Occidente e delle sue radici cristiane, che hanno svolto una funzione decisiva nella liberazione degli individui da molti, troppi, rapporti non scelti, da 'balli' con le persone sbagliate e non amate. Ma gli studi sul benessere delle persone ci dicono però delle cose che è bene tener presente per valutare bene i benefici del mercato insieme ai suoi costi, e magari cercare di riformarlo. L’offerta di molti beni depurati e sterilizzati dai rapporti personali negli ultimi decenni sta vedendo una accelerazione impressionante. La concorrenza di mercato, unita al progresso tecnico, abbassa i costi dei beni, i costi monetari ma soprattutto i costi in termini di tempo.
Costa così sempre meno tempo vedere un film a casa: non devo neanche uscire, neanche alzarmi dal letto. Invece – e qui sta il punto – uscire di casa per andare al cinema, o a fare sport con gli amici, costa più o meno come cento anni fa, per non parlare del 'costo' dell’investimento (di tempo, risorse, amore…) in una amicizia o in una famiglia, che costa, più o meno, come mille anni fa. Inoltre il tempo e le risorse investite in un’amicizia è rischioso, può ferirci quando manca reciprocità. Da una semplicissima legge economica sappiamo che quando il prezzo di un bene (merce) scende molto e il costo dell’altro (beni relazionali) resta costante, è come se il secondo costasse molto di più. In altre parole, un mercato che, per aumentare le mie libertà, mi separa le merci dai rapporti, in realtà mi sta anche rendendo molto costosi i beni relazionali. «L’altro giorno – mi ha raccontato un mio collega – avevo chiesto a papà di andare insieme al concerto del coro di mia moglie. Suono il citofono, e lui mi dice che aveva cambiato idea. Lo capivo, pioveva, vestirsi, uscire, era molto più 'costoso' che stare sul divano di fronte ad un film». E poi ha aggiunto: «La mattina dopo si sarà pentito». Che fare allora? Possiamo fare poco, ma qualcosa sì. Innanzitutto con la tassazione dei beni, che ha anche lo scopo di favorire i beni socialmente meritori (e oggi i beni relazionali lo sono, in un mondo di crisi di legami e quindi di felicità). Ma anche con l’educazione.
Un primo passo potrebbe essere inserire nelle scuole l’educazione al consumo e al rapporto con i beni, insegnando a distinguere tra il consumo di merci che sono merci e basta, dai beni relazionali che sono anche un investimento in vita buona. E poi mettiamo la tecnologia al servizio dei rapporti. Penso a quei circoli culturali, a quelle parrocchie, dove oggi con una spesa molto contenuta possono acquistare un proiettore video di qualità e ricreare nuovi 'cinematografi'. E così possono ricreare la magia del cinema, la gioia dei rapporti, delle comunità che oggi si stanno troppo impoverendo, impoverendoci tutti.
Luigino Bruni
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