Non c’è solo Caveman il bellissimo spettacolo
teatrale (versione italiana a cura di Teo Teocoli) che Maurizio Colombi
porta in giro per l’Italia, a chiarire che uomini e donne sono diversi
biologicamente e che quindi maschilità e femminilità sono date dalla natura e
non costruite culturalmente. Non ci sono solo gli studi sempre più precisi di
scienziati di varie specialità come biologia e medicina. Non ci sono solo i divertenti e profondi saggi dei
coniugi Pease o di John Gray o quelli invece più impegnati.
Adesso c’è anche Marco Scarmagnani ad aiutarci a
comprendere come districarci in queste differenze.
Chi è Marco? Lasciamoglielo raccontare a lui. Ci
tratteggi la tua biografia?
...la
biografia è dei personaggi illustri... io sono modestamente su questa terra da
circa 42 anni, sono veronese, sposato con la stessa donna dal 1995 (alla tenera
età di 24 anni, in netta controtendenza rispetto alle medie istat) 3 figli
naturali, abbiamo avuto 3 esperienze di affido familiare e l’accoglienza di un
ragazzo spastico per 12 anni. Professionalmente mi muovo su più fronti. Più o
meno questa la scansione giornaliera. MATTINO giornalista: lavoro nella
redazione dell’Editore Sempre della Comunità Papa Giovanni XXIII, mi occupo
soprattutto di famiglia e temi psicopedagogici. POMERIGGIO consulente familiare:
ho uno studio a Legnago nel quale cerco di “consolare” (questa accezione del
termine “consulente” me l’ha suggerita un bambino di 10 anni) le famiglie, in
particolare le coppie. SERA formatore/divulgatore: organizzo serate per
coppie, trovi sul mio sito www.studioscarmagnani.it nella sezione
“incontriamoci a” un po’ di esempi. Da qualche anno giro il nord Italia
soprattutto con il format
“Io Tarzan, tu Jane” nel quale tratto il tema
delle differenze sessuali (volutamente uso “sessuali” al posto di “genere”
perché oggi “genere” è un termine che si presta a fraintendimenti) attraverso
brevi spezzoni di film presentati in maniera interattiva al pubblico. E’
divertente, a Milano non sono mai venuto... (ti inviteremo noi presto nota del blogger)
Naturalmente
questa scansione giornaliera non satura tutti gli spazi, ma mi permette un
sufficiente ( in-sufficiente per mia moglie) tempo da dedicare ad amore
coniugale e paternità.
Un
paio di anni fa ho dato alle stampe Per sempre. Ingredienti per vincere la
sfida di una vita insieme, di cui si trova qualcosa qui.
Marco tu hai dato di recente vita ad un
micro-corso intitolato Homo
homini: perché
hai sentito il bisogno di progettare questa giornata dedicata alla mascolinità?
Nella
nostra testa (mia e di Delfino Corti, il collega di Lecco con cui ho dato
vita a questo progetto) è solo l’inizio di un percorso per uomini. Homo
homini... cioè cos’è l’uomo per l’uomo, e anche che cosa l’uomo può dare
all’uomo. Questa è la base, poi si declinerà in alcuni macro temi: Homo
homini... pater (sulla paternità ricevuta e donata), Homo homini... leader (su
lavoro, leadership, gerarchie), Homo homini... lupus (guerra, conflitto), ecc.
L’idea è di offrire uno spazio di confronto, un cerchio.
Ho
fatto la prima tesi di laurea sui gender studies. Il fatto eccezionale del
femminismo (stendiamo un velo pietoso sulle aberrazioni che il movimento ha
prodotto) è stato che le donne si sono date spazi e tempi per confrontarsi. Ho
cercato in letteratura le risposte maschili: poco o nulla, siamo stati a
guardare...
Ecco,
secondo me oggi siamo abbastanza maturi per cominciare a riflettere su di noi,
sui nostri sogni e sulle nostre paure. Siamo maturi nel senso che riusciamo a
metterci in discussione senza andare in frantumi. Qualche anno fa su larga
scala era più difficile. Ma per farlo – secondo me, secondo noi – abbiamo
bisogno di farlo “tra uomini” con modalità sicuramente tagliate su misura
perché non possiamo certo rinchiudere 10 uomini in una stanza a discutere, pena
il ricovero in psichiatria! Allora offriamo suggestioni, peschiamo a miti del
passato (le fiabe dei Grimm sono fantastiche), usiamo tecniche moderne (dalla
Theory-U alle costellazioni sistemiche a giochi di gruppo, magari ci
sgranchiamo anche un po’ le gambe ogni tanto, o ci facciamo un aperitivo).
Se
ci pensi poi non è nemmeno tanto una novità: da sempre gli uomini hanno
previsto che il giovane – per diventare adulto – facesse un’esperienza tra
uomini. Nelle tribù primitive sono riti di iniziazione. Da noi fino a qualche
decennio fa c’era il servizio di leva. Uno dei compiti è quello di staccarsi
dal Femminile, che molti vivono come una sorta di divinità, visto che tutti
siamo stati cresciuti giustamente dalle mamme. Ogni uomo nel corso della
sua vita (matrimoniale) deve riuscire a staccarsi da questo Femminile proprio
per potersi relazionare con le donne reali, “questa donna” che ha scelto
liberamente come unica (“io scelgo TE”, non, “io scelgo di fare famiglia con
una donna”, che tristezza...) . Anche il continuo “cambiar donna” per me è
segno della seduzione di questo grande Femminile che non permette di aprire gli
occhi davanti alla grande dignità personale della donna concreta con cui ognuno
vive. Queste cose – ad un uomo – non le possono insegnare le donne.
Davvero
il cervello è sessuato maschile e femminile?
Questo
è il tema della seconda tesi: lo sviluppo psichico maschile e femminile. Ci
sono diversi studi (ti cito tra tutti Simon Baron-Cohen e Louann Brizendine)
sul fatto che il cervello è differente già dall’ottava settimana di gestazione.
Prima è identico, poi ci pensa il testosterone prodotto dai testicoli a
bruciare alcune vie di comunicazione tra gli emisferi e farne un cervello
dotato di capacità sistematizzanti più che empatiche. Il cervello è plastico,
certo, e si modifica. Tuttavia – nell’economia generale – è evidente che certe
funzioni vengono svolte molto più facilmente da un sesso piuttosto che da un
altro. Pensa ad un bambino piccolo che piange. Lo dai in braccio a papà – che
grazie e Dio oggi in molti casi ci mette parecchio impegno – e la sua mente
comincia a creare un elenco puntato: – ha fame? – ha sonno? – ha fatto la
cacca? ... e alla fine di questo elenco c’è – lo do alla mamma!... Il cervello
di un uomo è fatto per vagliare sistemi e metterli in ordine. La mamma prende
in braccio il bambino e lui si calma perché si sono capiti, perché lui ha
percepito che lei ha compreso che era solo spaventato. Come? Si chiama empatia
ed è una cosa delle donne. E’ la capacità di intrecciare informazioni
provenienti contemporaneamente da più canali. E’ un dono stupendo. Come –
meravigliosa complementarietà – è dono stupendo quando la moglie si confronta
con il cervello di suo marito, magari si arrabbia e ci litiga, ma sente che
parlare con lui non è come parlare con la sua amica, perché la mente di lui è
stabile, corazzata (insensibile?) e che di fronte all’intrecciarsi e
confondersi dei pensieri di lei (che sono ricchezza, ma a volte la fanno
sentire insicura) resta immobile, come un faro. E lei si chiarisce le idee,
magicamente, da sola...
In
che cosa è diverso il cervello maschile?
Fisicamente
è più grosso e più pesante. Ai miei incontri uso questa metafora: un Landini
Testa Calda. Affidabile, poche funzioni, certe e soprattutto, se non va, anche
un non esperto di meccanica riesce a farlo ripartire. Il cervello femminile assomiglia
più ad una moderna auto elettronica. Molte funzioni, molto sofisticata, se si
surriscalda va in corto.
Che
cosa ha smarrito l’uomo oggi?
Ha
perso l’identità, perché probabilmente la nostra identità era troppo agganciata
al ruolo. Mettendo in discussione il ruolo l’identità è andata in crisi.
Che
cosa dovrebbe assolutamente recuperare?
Si
potrebbe fare il cammino inverso: cerchiamo di ricostruire la nostra nuova
identità, che pesca dal passato ma si connette al futuro. Il nostro ruolo in
famiglia e nella storia verrà naturalmente di conseguenza.
Che
cosa significa riscoprire l’appartenenza di genere? Appartenere ad una comunità, una fraternità, esclusiva, che non
significa escludente. Non è che se le nostre signore ci tengono fuori dalle
lunghe chiacchierate dalla parrucchiera noi ci sentiamo esclusi. E’ il luogo
naturale dove parlano “tra donne”. Anche noi dobbiamo sviluppare luoghi così,
di piacevolezza di stare “tra uomini” che sanno capirsi oltre le parole, dai
quali uno se ne torna a casa rigenerato anche senza aver parlato della sua
intimità. Serve vicinanza, contatto anche fisico, ludico, anche di sport.
In che modo può aiutare nel mondo del lavoro?
Mi sono occupato negli anni scorsi della valorizzazione delle differenze sessuali nei gruppi di lavoro. Al di là delle facili generalizzazioni, il gruppo ci guadagna dalla conoscenza e dal rispetto di diverse sensibilità, diversi modi di porsi nei confronti dei ritmi, della clientela, del mercato. Sistematizzazione ed empatia: parole chiave che esprimono un simbolico maschile e femminile che il gruppo può scegliere e usare come risorsa.
Che
cosa deve fare l’uomo per scoprire e proteggere la femminilità (nelle donne si
intende)?
Non
credo spetti all’uomo proteggere la femminilità. Da parte femminile c’è una
certa ambivalenza nel “chiedere protezione”, e ciò ci disorienta. Credo che il
compito dell’uomo sia quello di relazionarsi con le donne in maniera giusta e
leale. Giustizia e lealtà sono due termini che appartengono all’universo
simbolico maschile. Da riscoprire. Per quanto riguarda invece lo
“scoprire” io penso che basti rimanere sposati o avere delle figlie per entrare
in questo affascinante mistero.
Che
cosa deve fare l’uomo oggi per difendere questa sua mascolinità?
Mettersi
lo zaino in spalla e camminare. L’uomo secondo me è strutturato per il
movimento, per la carenza di risorse più che per l’abbondanza, per camminare
verso un orizzonte piuttosto che essere seduto su una meta. Fisicamente,
mentalmente, spiritualmente.
E
per insegnarla ai figli?
E’
un tema difficile. L’insegnamento deve essere per trapianto vitale. Già
passarci del tempo, con umiltà, speranza, forza, è far crescere.
Si
parla di paternità perduta o sfarinata: perché secondo te?
E’
un naturale effetto-cascata del maschio perduto o sfarinato. E’ da lì che dobbiamo
ripartire. Non possiamo fare buoni padri se non ci curiamo di avere buoni
uomini. (detto tra noi, credo anche che non possiamo avere buoni padri e buone
madri se non sono buoni mariti e buone mogli). Per “buono”, alla Winnicott,
intendo “sufficientemente buono”, non perfetto.
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