lunedì 28 ottobre 2013

L'importanza del padre - guest post di Michael Dall’Agnello

I COMPITI DEL PADRE
Sono stati scritti molti libri sull’importanza della figura paterna per la crescita del bambino. Anch’io voglio condividere alcuni spunti che nascono dall’esperienza del mio lavoro di maestro e dallo studio pedagogico svolto all’interno della scuola in cui lavoro

La necessità di formazione
Una volta si viveva in una sorta di villaggio educativo in cui i valori erano comunemente riconosciuti e condivisi. Anche se non è mai stato facile, non c’era bisogno di spendere molto tempo per apprendere il mestiere di padre; s’imparava per osmosi, replicando ciò che si vedeva fare dai propri genitori. Oggi, per tutta una serie di motivi che non spetta a me analizzare, viviamo in una sorta di “società liquida” in cui niente è dato per scontato: quelli che erano considerati da tutti valori solidi -come la terra su cui si poggiano saldamente i piedi- hanno perso la loro evidenza. Non ci sono più né terra né sentieri ben segnati, ma mare aperto. Per questo c’è bisogno di formarsi. Tutti sanno camminare, ma non tutti sono in grado di navigare. Oggi c’è bisogno di imparare a navigare e tracciare rotte sicure, che ci permettano di progredire anche in mare aperto senza apparenti punti di riferimento immediati. Una coppia di genitori che non volesse affrontare il problema della propria formazione, somiglierebbe a quei naviganti che vogliono affrontare il mare aperto senza saper tracciare la rotta: finirebbe col naufragare.

Il principio di unità della coppia
Il figlio percepisce a pelle, sebbene non riesca sempre a valutare la cosa con sufficiente consapevolezza, che il senso della sua vita è nell’amore coniugale di papà e mamma e va là a specchiarsi per sapere qualche cosa di sé e per capire come potrà comportarsi… Il primo compito della moglie è quello di riservare al marito il primo posto nella sua mente e nel suo cuore. Il primo compito del marito è quello di onorare sua moglie, coltivando la massima attenzione alle sue qualità femminili” (Valentino Guglielmi, Ti amo, La Grafica – Verona). La soluzione di molti problemi scolastici e “non” dei bambini andrebbe cercata all’interno della relazione di coppia, invece spesso ci si ostina a intervenire sul bambino, senza capire che per curare i frutti bisogna agire sulla pianta. Quanti “papà-mammi” non capiscono che il problema palesato dal figlio va risolto all’interno del rapporto con le loro mogli e non nel clonare il loro ruolo! A scuola apprende molto più facilmente un bambino che percepisce come sereno il rapporto tra mamma e papà, anche se di condizioni sociali e culturali non elevate, piuttosto di un altro, pur di condizioni superiori, ma che vive in se stesso un conflitto tra i genitori.

La distinzione padre / madre
Attualmente, al di là dei fatti più appariscenti, come il proporre il matrimonio e l’adozione a due persone dello stesso sesso, stiamo assistendo ad una uniformazione dei sessi. Complice forse lo scambio delle funzioni nella società, che è condivisibile (le donne in campo lavorativo svolgono quasi tutte le mansioni che un tempo svolgeva solo l’uomo), s’è finito per confondere anche i ruoli, che invece appartengono al nostro essere. Anche se il marito rimane a casa più spesso di sua moglie, è come uomo che fa ciò che fa, ed è come donna che sua moglie dirige un’azienda mentre lui è un semplice impiegato. Il bambino ha bisogno di vedere una diversità di ruoli all’interno della coppia. Deve poter percepire e distinguere la femminilità e la mascolinità -che non è machismo-, altrimenti non riesce ad avere dei modelli in cui identificarsi da un punto di vista costitutivo, del proprio essere. Distinguere non è discriminare!

L’uso del tempo
Un giorno un mio amico, dirigente di una società, mi disse: “Posso dedicare poco tempo a mio figlio, ma cerco di dedicargli un tempo di qualità”. Purtroppo in campo educativo i tempi non siamo noi a deciderli, ma i nostri figli: fa parte del loro essere in crescita aver bisogno di tempi a loro dedicati e che non sono i nostri; anzi, più crescono più hanno bisogno che il papà riservi loro tempo. Paragonare l’educazione dei nostri figli a un lavoro può sembrare riduttivo, ma se dedichiamo così tanto tempo alle imprese professionali, a maggior ragione dovremmo dedicarne all’impresa più importante della nostra vita, quella di crescere i nostri figli. Un padre che non si prefigge di dedicare almeno dieci minuti ogni giorno -e talvolta anche di più- a “stare esclusivamente” con ciascuno dei propri figli, compromette seriamente il suo ruolo. Quante crisi di gelosia in meno ci sarebbero tra fratelli, ad esempio, se ogni giorno ognuno di loro ricevesse qualche minuto di attenzione “esclusiva” dal papà!

L’ascolto intelligente
Il tempo che dedichiamo ai figli ci deve servire per conoscerli sempre meglio: se li vogliamo amare, li dobbiamo prima conoscere, perché non si ama ciò che non si conosce; credetemi non è facile, perché a differenza delle cose, le persone sono in continua evoluzione. Più che un adulto, il bambino/ragazzo non è mai lo stesso del giorno prima, soprattutto oggi che è sottoposto a una quantità infinitamente superiore di stimoli di quella cui erano sottoposte le generazioni precedenti. Per conoscere nostro figlio bisogna ascoltarlo ogni giorno! Per ascoltarlo veramente, dobbiamo liberare la nostra mente da tutte le altre incombenze, almeno per qualche minuto. “Adesso ci siamo solo tu ed io!” è il messaggio che deve trasmettere un papà, più col suo atteggiamento che con le parole, a suo figlio, a sua figlia, anche quando sono piccoli. Un papà deve porre molta fantasia per trovare le occasioni per stare da solo con suo figlio, specie quando diventa più grande. Deve imparare ad “ascoltare anche con gli occhi”. Un mio amico lo faceva giocando a scacchi, o meglio suo figlio giocava a scacchi con lui, lui lo ascoltava giocando a scacchi… Insomma si prefiggeva di conoscerlo, cercando di recepire i messaggi che il figlio gli mandava attraverso i particolari del viso –gli occhi soprattutto, mai uguali a se stessi- e gli atteggiamenti che assumeva, senza tralasciare di ascoltare ciò che in quel momento poteva decidere di dirgli. Non è forse vero che le rivelazioni più intime da parte dei nostri figli le abbiamo avute proprio in questi momenti di “rilassata concentrazione”? Ognuno può escogitare i suoi modi: lo può fare quando accompagna il figlio a scuola, a giocare a calcio, o quando si fa con lui un giro in bici; l’importante è che ci sia intenzionalità, e perché questa ci sia, c’è bisogno di programmazione. Come non s’improvvisa sul lavoro, così non si può lasciare al caso l’arte di ascoltare; prima di tutto devo “voler ascoltare”, e quindi devo “mettere in agenda” i tempi dedicati all’ascolto, altrimenti andrà a finire che non lo farò.

L’alleanza con altre agenzie educative
Talvolta possiamo essere tentati, vedendo l’aria che tira fuori, di rinchiuderci a riccio all’interno della nostra famiglia, ma non funziona: tanto varrebbe che migrassimo su di un’isola deserta, visti i molteplici ambienti con cui inevitabilmente i nostri figli vengono in contatto. E’ molto più utile cercare delle alleanze con le altre agenzie educative, cioè le famiglie con cui veniamo in contatto, la scuola, lo sport e l’associazionismo educativo in genere. Il concetto di alleanza sottintende che, nonostante le inevitabili diversità di opinione, si possono trovare i modi per andare nella stessa direzione con spirito collaborativo per il bene dei ragazzi, purché ovviamente, almeno i genitori, abbiano tracciato una “rotta educativa” per i loro figli.

Il colloquio con Dio
Noi siamo persone, cioè esseri in relazione, e Dio è persona -anzi tre Persone-, e quindi essere relazionale pure Lui. Entrambi “abbiamo bisogno” di comunicare l’uno con l’altro. In questo dialogo personale, che si chiama anche preghiera, dobbiamo “parlare” delle questioni che più ci stanno a cuore, figli compresi, portando al colloquio proprio quelle novità –piacevoli o spiacevoli che siano- che abbiamo rilevato osservandoli come dicevamo sopra. Così come si fa quando si succhia con calma una caramella per assaporarne tutte le sfumature di gusto, similmente si può considerare quelle novità ricavate dall’osservazione nel colloquio con Dio. Se vogliamo conoscere veramente i nostri figli poi –ma anche noi stessi-, dobbiamo cercare di conoscere Dio, che è il loro –il nostro- Creatore, attraverso la sua frequentazione. Un padre che non parla dei suoi figli al Padre, corre il rischio di non comprendere buona parte della sua paternità.


Michael Dall’Agnello

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